In Calabria non è purtroppo inusuale scontrarsi con un’entità che non ama tanto apparire, tranne che nelle occasioni in cui le è strettamente necessario o vantaggioso, ma che influisce profondamente e negativamente nelle vite di tutti i calabresi, in modo più o meno diretto. La chiamano ’ndrangheta e c’è ancora chi fa finta che non esista, anche se a detta degli esperti è una tra le più ricche e potenti organizzazioni criminali esistenti al mondo.
Gaetano Saffioti è uno di quei calabresi, un imprenditore sano e volenteroso, che con la ’ndrangheta ha avuto suo malgrado a che fare, subendone le pressioni e i condizionamenti, le violenze e le estorsioni.
Ma ha saputo ribellarsi, mettendo la sua dignità di uomo davanti a tutto il resto, anche a rischio della propria incolumità personale e di quella della sua famiglia, tanto da essere costretto ormai da anni a vivere una “vita blindata” e costantemente sotto scorta. Saffioti è un esempio di resistenza in una terra in cui resistere è difficile, quando non impossibile. Ma nonostante tutto lui sostiene di non essere un eroe e di aver fatto qualcosa di normale.
Sommessamente aggiungo, a beneficio dell’attuale ministro degli interni, che togliere la scorta a qualcuno che sia stato minacciato dalle mafie, intenzione al momento espressa nei confronti di Roberto Saviano, può far risparmiare qualche soldo allo Stato ma può anche favorire l’esecuzione di una probabile condanna a morte.
Saffioti era già stato lo scorso anno a Soveria Mannelli per presentare il libro “Questione di rispetto”, scritto su di lui e la sua storia dal giornalista Giuseppe Baldessarro e pubblicato dalla casa editrice Rubbettino. E ora è tornato per ricevere il Premio “San Giovannino”, ideato e voluto da don Roberto Tomaino, coadiuvato da Antonio Cavallaro.
Don Roberto è il giovane parroco della città che ha rivitalizzato la parrocchia e la comunità locale con felici intuizioni come questa: unire la festa del patrono, San Giovanni Battista, con una cerimonia di premiazione a qualcuno che i valori di giustizia e verità, propri del Santo, li ha condivisi e messi in atto nel corso della sua vita, offrendocela peraltro come esempio di comportamento virtuoso.
Gaetano Saffioti è stato presentato dallo stesso don Roberto, che ha voluto riportare una frase di Giovanni Battista, detta a chi, avendo fatto del male e colto dal rimorso, gli chiedeva consiglio: “non maltrattate e non estorcete niente a nessuno!”. Era questo il monito del Santo, quanto mai appropriato alla storia personale di Saffioti.
Il vicesindaco Mario Caligiuri ha lodato la figura di Saffioti, definendolo “un testimone autentico del valore della giustizia”, e la stessa istituzione del Premio: “Non un Premio come tutti gli altri, ma di altissimo significato, in continuità con il Premio Cariglio d’Oro ideato da un parroco del passato, don Natale Colafati, assieme a Rosario Rubbettino, fondatore dell’omonima casa editrice.”
Poi è stato Antonio Cavallaro a tracciare un profilo sintetico ma completo di Saffioti, ripercorrendo le tappe fondamentali della sua vita di imprenditore di successo che a un certo punto ha segnato una svolta con la ribellione alla criminalità organizzata, unita alla ferma volontà di restare in Calabria.
Infine, lo stesso Saffioti, dopo aver ricevuto il premio, la riproduzione artistica del busto di San Giovanni Battista realizzata dal maestro Vittorio Pinto, ha parlato ai presenti con semplicità e, a suo dire, con un certo imbarazzo: “Ricevere questo premio mi fa sentire un privilegiato, ma mi dà anche l’opportunità di rivolgere un plauso e un ringraziamento alle forze dell’ordine, ai magistrati coraggiosi e a tutti coloro che vogliono la sconfitta della ’ndrangheta, che non fanno come lo struzzo o le tre scimmiette. Perché ciascuno di noi può fare la sua parte.”
In un crescendo di emozione, si è poi rivolto ai presenti con questa considerazione: “La cosa più bella che possiamo lasciare su questa terra è che i nostri figli possano dire di aver avuto come genitori delle persone per bene; ma ancora di più che possano gridare, con orgoglio e mai con vergogna, sono calabrese!” E Saffioti questo “sono calabrese” lo ha davvero gridato, per ben tre volte, nel silenzio ammirato della chiesa, suscitando un fragoroso applauso spontaneo.
La triplice dedica del premio non poteva poi essere più significativa: “a tutti i cittadini calabresi che spesso lottano sentendosi isolati; ai genitori che ci hanno trasmesso i veri valori della vita; alle due persone, mia moglie e mio figlio, che mi sono vicine e sono costrette a vivere assieme a me una vita blindata.”
È così che, grazie a San Giovanni Battista, Soveria Mannelli ha anche potuto meglio conoscere questa figura straordinaria, un protagonista del nostro possibile riscatto, un “antieroe” che non perde occasione per schermirsi e minimizzare il suo grandissimo atto di coraggio, un uomo che rappresenta la Calabria nella sua veste migliore.
di Raffaele Cardamone