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Home » Feroleto Antico. Da ducato dei Caracciolo a principato dei d’Aquino Pico (seconda parte)

Feroleto Antico. Da ducato dei Caracciolo a principato dei d’Aquino Pico (seconda parte)

Feudalità, economia, ambiente e urbanizzazione

Franco Emilio Carlino di Franco Emilio Carlino
11 Dicembre 2022
in LUOGHI
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Feroleto Antico. Da ducato dei Caracciolo a principato dei d’Aquino Pico (seconda parte)

Piazza Francesco Mangani (foto di Mario Migliarese)

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Alla metà del XVI secolo Feroleto antico era la capitale del circondario e quindi del principato. Da feudo costituiva i diritti della regia curia. Sino agl’inizi del XVII secolo (1611) Feroleto antico coi villaggi Ievoli, Polverini, Galli, Vajola, e Maruchi; e Feroleto piano con gli altri villaggi, Parmatico, S. Michele, Pepparso, Accaria con Quinzi, Angoli, Migliuso, e Morachi, rimase nella giurisdizione della contea di Nicastro governata dai Caracciolo. Ultima di questo ramo, come ci ricorda Mario Pellicano Castagna fu «Isabella Caracciolo contessa di Nicastro e Oppido.

Il 17 febbraio 1606 ebbe significatoria di rilevio per gli stati di Feroleto, Nicastro, Oppido e Maida, con i Casali dipendenti e le giurisdizioni, come erede e per la morte senza figli del fu duca Ferrante, suo fratello, deceduto il 20 gennaio 1605 (Registro Significatorie 38, f. 149).

Chiesetta di Gesù Redentore (foto di Mario Migliarese)

Ultima del suo ramo, alienò, fra il 1607 e il 1611, tutti gli stati della sua famiglia, disgregando in tal modo uno dei più vasti e compatti organismi feudali della Calabria. Vendette infatti […] nel 1608 Nicastro al principe di Castiglione […] Carlo d’Aquino principe di Castiglione, già acquirente di Nicastro nel 1608, acquista, con regio assenso dell’11 dicembre 1611, dalla predetta Isabella Caracciolo, anche la baronia di Feroleto con Serrastretta e casali»7.

Una terra quella di Feroleto che passata ai d’Aquino, come ci ricorda ancora Pellicano Castagna, rimase nelle loro mani sino al 1799, anno in cui morì la principessa di Castiglione di Feroleto, Vincenzina Maria d’Aquino Pico, e che durante tale governo vide la presenza anche di un esponente del nobile casato nella persona di don Tommaso d’Aquino, figlio di Giovanna d’Aquino, decorato come Grande di Spagna, morto il 1721. Estinto il casato, come ci ricorda Gustavo Valente8, Feroleto, come tutti gli altri feudi di casa d’Aquino, passò al demanio regio.

Dopo il 1799 Feroleto in conseguenza della nuova organizzazione amministrativa predisposta dal generale Championnet viene contemplato come comune nel cantone di Nicastro. La legislazione francese, per effetto della legge 19 gennaio 1807, lo riconobbe Luogo, ossia Università, nel governo di Nicastro. Successivamente, in seguito all’istituzione dei comuni e dei circondari, prevista dal decreto 4 maggio 1811, Feroleto veniva spostato nel circondario di Serrastretta, nel quale rimaneva anche nel successivo assetto attribuito dal Borbone alla regione per via della legge 1 maggio 1816. Ed è in quel medesimo anno che Feroleto assumeva la corrente denominazione.

Il borgo di Feroleto, precedentemente posto nella parte alta, nel corso delle epoche si dovrà confrontare con due calamità. La prima umana dovuta al saccheggio e alla devastazione subita dalle incursioni saracene e la seconda naturale per via del violento del 1638 che fu fatale per questa terra e non la risparmiò dalla totale distruzione. Catastrofi, però, che non indebolirono il carattere della comunità e dei feudatari, che fabbricarono nuovamente sull’amena collina quanto distrutto, sia il borgo che fu edificato dove si trova oggi, per la fortezza naturale del luogo e reso inespugnabile dall’ingegno, per via della forte cinta muraria, sia il considerevole maniero di epoca medioevale, certamente di origine normanna, risalente all’XI secolo, fabbricato sulle rovine di una antecedente costruzione nella parte alta del luogo dal principe don Gio. d’Aquino, secondo Pacichelli, dopo che questi era ritornato dalle guerre di Fiandra, da dove potevano apertamente difendersi dai nemici, e nel luogo comprendente pure una piccola cappella intitolata all’Annunziata, e vicino anche un convento dei padri agostiniani.

Gli abitanti portarono avanti un nuovo processo di urbanizzazione e fecero risorgere l’insediamento urbano con la costruzione di nuove abitazioni che avvenne in parte in pianura e in parte nel vecchio sito, ma tra loro vicine come una volta Feroleto soprano e Feroleto sottano.

Interessante anche in questo caso la nota del Fiore che riferendosi allo sforzo fatto dagli abitanti del tempo così amava scrivere: «[…] edificarono un’altra abitazione in quadro molto deliziosa, con belli edificij, che si rende meravigliosa in vero a convicini paesi, per essersi edificata in tal modo, ed in sì breve giro di tempo, d’anni cinquantasei, così numerosa di gente; fra i quali vi sono molte famiglie nobili, e ricchi, che compariscono con molto splendore, e fanno matrimonij co’ Nobili delle città, di Catanzaro, e Cosenza»9.

Pochi anni dopo le notizie del Fiore, a descrivere Feroleto con altre informazioni fu l’abate Gio. Battista Pacichelli che così prediligeva argomentare: «È posta questa terra nella linea diametrale della più stretta parte dell’istmo, tra il Mediterraneo, e lo Ionio, e dice Leandro Alberti aver’egli di sovra il più alto giogo dell’Appennino, che fin quà si stende, veduto amendue i mari. Questo luogo e senza dubbio il Piano di S. Filippo, posto sovra la terra di Feroleto, […] ove veggonsi vaghi, ed ameni prati, e la selva di foltissime elci, di cui egli parimente fa menzione. La terra è d’antichissima fondazione, e prima era tutta situata sovra un monte, da quattro in cinque miglia distante dal mar Tirreno. Era de’ monaci basiliani, e del Pelagio dell’Imperador Federico, il quale in questo paese prese grandissimo diletto dalle caccie de’ Falconi, sicome è fama presso gli storici di quei tempi»10.

Nel 1833 Feroleto vecchio venne elevato a comune del circondario e fino al 1845 fece parte del distretto di Nicastro la cui distanza era di circa 8 km.

Feroleto moderno facente parte della provincia di Catanzaro è un bellissimo borgo che si colloca a circa 350 m s.l.m. con una variazione altimetrica variabile tra i 33 e gli 825 m, asserragliato alle falde del monte Reventino, con una superficie di 22, 01 kmq e una densità per abitante di 98,1 kmq. Secondo recenti statistiche la sua popolazione risulta di 2.159 abitanti di cui 1.194 M e 1.065 F. Il suo territorio, attraversato dal fiume Badia, è prevalentemente collinare, fa parte della Regione Agraria n. 5 – Colline dell’Amato e confina con i comuni di Lamezia Terme, Maida, Pianopoli e Serrastretta.

Via Generale Stocco (foto di Mario Migliarese)

Per avere un’idea di quanto fossero gli abitanti in precedenza e fare un confronto con il numero delle presenze di oggi è possibile ricavarlo dalla tassa imposta sui fuochi esistenti, che secondo le informazioni fornite da Lorenzo Giustiniani11 figurava nel 1532 applicata su 67, nel 1545 su 409, nel 1551 su 157, nel 1595 su 108, nel 1648 su 300 e nel 1669 su 181. Un fuoco normalmente era considerato in quel periodo intorno a 4/6 componenti il nucleo familiare e tale stima serviva per pagare il focatico ossia la tassa personale. Moltiplicando, pertanto, il numero dei componenti per il numero dei fuochi se ne ricava il numero complessivo degli abitanti per i singoli anni citati.

Secondo le informazioni acquisite nel corso del presente studio, il suo territorio si compone di estese pianure, reso ricco dalla presenza di numerosi ruscelli dalle acque freschissime e di ottima qualità che rendono il terreno molto fertile e nei quali è possibile trovare anguille e trote. Abbondanti sono i prodotti di ogni genere, fonte primaria della sua economia che è stata sempre fondata prevalentemente sull’agricoltura con la messa in produzione di grano, granone, orzo, legumi d’ogni sorte, di ottimo e abbondante lino, di olio di mele, di seta, di frutti in ogni stagione, di magnifici vini, di ortaggi, agrumi. Non mancano fauna (cinghiali, lepri, volatili in genere) e alberi di cui abbondano i suoi estesi boschi di faggi, abeti, pini, di sughero, dai quali si ricava il legname in apprezzabili quantità e qualità, che portato alle segherie viene trasformato nei diversi semilavorati alimentando lo sviluppo di un efficace mercato del legno. La sua economia nel tempo venne apprezzata anche grazie alla presenza in loco di ottime maestranze nella lavorazione della pietra e di ingegnosi artigiani (calzolai, barbieri, fabbri, sarti) che con le loro botteghe hanno tenuto viva la quotidianità del borgo. Si vuole al riguardo menzionare la presenza, sul suo territorio, di frantoi per la produzione olearia e di strutture per la vinificazione. Interessante anche la lavorazione della lana e della seta attraverso la loro trasformazione portata a termine con i telai a mano.

Il decoro urbanistico oggi è caratterizzato da alcuni palazzi gentilizi, tra i quali si vuole menzionare palazzo Cosentini, una casa signorile del XIX secolo, adoperata come residenza storica ricca di ornamenti, realizzata per volere di Giacinto Cosentini. In quel tempo, come riferiscono le cronache, i podestà di Feroleto antico, con i loro portali in pietra registrano le vicende storiche nel tempo, dalla chiesa di Santa Maria Maggiore, consacrata alla Natività, al Santuario di Dipodi. Prima di addentrarci nel particolare delle architetture religiose più importanti vediamo come era la situazione delle chiese in precedenza a Feroleto attraverso la descrizione dell’abate Vincenzo D’Avino che al riguardo così ricorda: «Ughelli segna a Feroleto due chiese parrocchiali, quattro cappelle, e quattro confraternite. Di quali chiese, l’arcipretale curata, collegiale, della Natività di Maria, è a Feroleto antico, e la parrocchiale, altresì collegiale, di S. Tommaso d’Aquino, è a Feroleto piano. Ambe le chiese godono antichità. Avea la prima a suo governo due parrochi, oltre l’arciprete, e quelli cessarono dopo la occupazione militare: trae origine la seconda da un’altra chiesa curata, che sotto la invocazione di S. Niccolò di Bari sorgeva a Feroleto antico, ed era amministrata da due parrochi, i quali si trasferirono poi in Feroleto piano a tener cura di quel popolo, ivi funzionando nella detta chiesa di S. Tommaso d’Aquino, all’uopo innalzata. Ignoriamo l’epoca della istituzione dei collegi. Sono essi, a nostro avviso, un avanzo dei beni delle abolite parrocchie. Oggi S. Niccolò di Bari è chiesa della confraternita delle anime purganti, delle quali ne porta il titolo, e S. Tommaso si amministra da un parroco. Evvi inoltre a Feroleto antico la chiesa del monistero di S. Agostino, fondato nei più antichi tempi, dov’è il romitaggio col santuario di Nostra Donna de Puris, volgarmente dei Dipodi, a circa 5 miglia dal paese monistero trasferito poi nel l’abitato, e nel 1809 dismesso. Non parliamo di un altro monistero di minori conventuali, perché questo si era disciolto nel 1655. Facciamo bensì ricordo della badia dei SS. Filippo e Giacomo derivata da un cenobio della regola di S. Basilio che in tempi antichi si alzava sul monte S. Filippo e non dimentichiamo la chiesa colla confraternita dell’Addolorata, ed il romitaggio colla chiesa di S. Croce, che sorgono a Feroleto piano.

Piazza Francesco Mangani (foto di Mario Migliarese)

A Feroleto di Nicastro, o a quello detto della chiesa, trassero la cuna diversi provinciali di ordini monastici, che noi tralasciamo per ricordare i soli Bernardino ed Ilarione, degnissimi religiosi, che nel Feroleto in parola ebbero nascimento, e furono, custode provinciale di minori osservanti nel 1628 il primo, e provinciale di cappuccini nel 1759 il secondo. Gli scrittori di Calabria dicevano onorato questo paese colla presenza di papa Silvestro, o Calisto, e dell’imperatore Federigo Barbarossa non stati mai in queste parti. Federigo II fu a Feroleto, dove si fabbricò una casa, della quale un secolo dietro si vedevano i ruderi. I villaggi di Feroleto antico formano un popolo di 900. Ievoli ha la chiesa dell’Addolorata, e Polverini quella dell’Assunta, le quali chiese, perché semplici, son rette dal parroco di S. Michele. Dei villaggi di Feroleto piano, Accaria era feudo di Rinaldo Clignetto nel 1306; ma Angoli non dev’essere confuso con quell’Angolum che si legge in Tolomeo, Plinio, e Antonino, posto altrove. I villaggi in parola vengono abitati da 2.501, ed hanno tre chiese parrocchiali, della Immacolata cioè a Quinzi, di S. Michele nel villaggio di tal nome, e di S. Giuseppe ad Angoli. Vi sono le chiese semplici del Rosario ad Accaria, e della Imacolata a Migliuso. Delle parrocchie, S. Michele e la Immacolata si dicono istituite nel 1804: quella di S. Giuseppe fu eretta nel 1841. Francesco Paolo Mandarani vescovo di Nicastro, innalzò la chiesa di Angoli per l’amministrazione dei sagramenti a quei contadini»12. La chiesa di Santa Maria Maggiore è una chiesa parrocchiale la cui fondazione risale al 1612 anche se alcuni lavori secondo le diverse notizie acquisite e come è comprovato da una data incisa su una delle due pareti di appoggio ebbero inizio verosimilmente intorno alla metà del precedente XVI secolo (1531). Demolita dall’evento sismico del 1638 cui Feroleto fu interessata venne in parte riedificata e in seguito ingrandita. Il suo impianto architettonico si mostra a tre navate con quelle laterali più strette e il soffitto a cassettoni. Tra le diverse opere custodite al suo interno, quello di maggiore interesse è la tela che riproduce la Natività della Vergine Maria. Un dipinto molto ampio nelle sue misure (2.30 h. x 1.70 l) al quale la gente del luogo riserva da sempre grande venerazione. Altri dipinti riguardano le tele della Madonna di Dipodi, la Madonna con Santi Antonio da Padova e Francesco di Paola, la Madonna con i Santi Giuseppe e Gerolamo, la SS. Trinità con l’Immacolata, il S. Cuore e S. Nicola di Bari, mentre tra le statue lignee figurano quelle dell’Addolorata, un Crocifisso, dell’Immacolata, di S. Silvestro I papa, protettore del paese, e S. Nicola da Tolentino. Le pareti sono impreziosite da altari e stucchi. Da quanto risulta dalla scheda sintetica postata sul web da Le chiese delle diocesi italiane «La navata centrale è caratterizzata da archi a tutto sesto scanditi da lesene al di sopra delle quali emerge un cornicione da cui parte la volta a botte cassettonata e illuminata da finestre. Sullo sfondo, vi è l’area presbiteriale a forma rettangolare con l’altare maggiore policromo. Al di sopra del presbiterio emerge la cupola con tamburo ottagonale arricchita da dipinti e finestre. All’esterno, la facciata è caratterizzata da quattro lesene al di sopra delle quali vi è un cornicione con fregio. La parte superiore termina con un timpano arcuato. Sul lato sinistro della facciata emerge il campanile con due livelli di finestre, l’orologio e con delle merlature terminali»13.

Altro interessante luogo di culto, reso ricco dalle numerose indulgenze volute da papa Callisto II come ci ricorda l’abate Pacichelli, meta ininterrotta di pellegrini è il Santuario di Dipodi posto a qualche chilometro da Feroleto sopra un lussureggiante colle, nato secondo il Fiore sotto il titolo di Santa Maria de’ Puris, nel cui quadro maggiore di scuola napoletana, si adora l’Immagine della Beatissima Vergine col Bambino Gesù. Della fondazione della chiesetta non si ha notizia sicura, secondo alcuni, esistente già nell’anno 1000, eretta come segno di ringraziamento per l’apparizione della Madonna nel corso degli scontri con i Saraceni poi sconfitti, mentre differentemente per altri è da assegnare a una narrazione popolare greca, che riferisce come questa venne fatta costruire dall’imperatore Costantino e da papa Silvestro intorno al 314 d.C. Nomi sui quali narra anche il Fiore facendo riferimento alla grazia ricevuta proprio dall’imperatore Costantino per la sua guarigione miracolosa dalla lebbra, rappresentata anche in un dipinto custodito nella chiesa, grazie all’acqua purificatrice presente nei pressi della chiesetta. Non si può non fare a meno di ricordare altresì la presenza dell’abbazia basiliana di epoca normanna dei Santi Filippo e Giacomo sulla quale anche in questo caso accenna il Fiore. Come tutti i paesi dell’entroterra calabrese, anche Feroleto non dimostra eccezioni sulla sua configurazione urbanistica che si presenta con le particolari viuzze del suo centro storico molto strette, che mettono in bella mostra i molteplici e vetusti portali dei diversi casati.

di Franco Emilio Carlino, Socio corrispondente Accademia Cosentina

Bibliografia

7 M. Pellicano Castagna, Storia dei Feudi e dei Titoli Nobiliari della Calabria, II CAS-IS, Editrice C.B.C., Stampa Arti Grafiche Rubbettino, Soveria Mannelli 1996, p.232.

8 Cfr. G. Valente, Dizionario dei Luoghi della Calabria, I, A-L, Edizioni Frama’S, Chiaravalle Centrale (CZ) 1973.

9 Padre G. Fiore da Cropani, Della …, Tomo I.

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Franco Emilio Carlino

Franco Emilio Carlino

Nasce nel 1950 a Mandatoriccio. È Socio corrispondente dell’Accademia Cosentina, socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria e componente del Comitato Scientifico dell’Università Popolare di Rossano. Già Docente di Ed. Tecnica nella Scuola Media si impegna negli OO. CC. della Scuola ricoprendo la carica di Presidente del Distretto Scolastico n° 26 di Rossano e di componente nella Giunta Esecutiva del Cons. Scol. Provinciale di Cosenza. Iscritto all’UCIIM (Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi) svolge la funzione di Presidente della Sez. di Mirto-Rossano e di Presidente Provinciale di Cosenza, fondando le Sezioni di: Cassano allo Ionio, S. Marco Argentano e Lungro. Collabora con numerose testate, locali e nazionali occupandosi di temi legati alla scuola. Oggi in quiescenza coltiva la passione della ricerca storica e genealogica e si dedica allo studio dei territori, delle tradizioni facendo ricorso anche alla terminologia dialettale, ulteriore fonte per la ricerca demologica e linguistica. Numerosi i saggi dedicati a Mandatoriccio, paese natio, a Rossano, città di adozione, al Territorio della Sila Greca e a molti Borghi della Calabria.

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