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Home » Dal 25 Aprile del 1945 al 25 Aprile del 2020 (una riflessione di Angelo Falbo)

Dal 25 Aprile del 1945 al 25 Aprile del 2020 (una riflessione di Angelo Falbo)

Angelo Falbo di Angelo Falbo
29 Aprile 2020
in Carlopoli, COMUNI, OPINIONI
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Dal 25 Aprile del 1945 al 25 Aprile del 2020 (una riflessione di Angelo Falbo)
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PRIMA PARTE

A Sallusti (e ai suoi soci in risentimento antidemocratico: Gasparri, La Russa, Meloni e altri).

Sallusti voleva gioire perché il coronavirus avrebbe potuto impedire di festeggiare il 25 Aprile.

Lo sappiamo, la Liberazione e la nascita della Repubblica democratica con la Costituzione che afferma valori e principi universali di Uguaglianza, di Giustizia sociale, di Libertà e di Pace non è piaciuta a diversi.

Tanti, amanti dei privilegi, delle sopraffazioni e dei malaffari impuniti non hanno mai accettato di essere considerati, nei diritti e nei doveri, cittadini “uguali agli altri”.

Loro, avrebbero preferito che gli altri fossero rimasti “sudditi”.

Chi ha tramato. Chi ha vilipeso. Chi ha covato risentimenti camuffati. Chi nostalgicamente ancora manifesta gesta e simbologie fasciste o parafasciste. Chi approfitta degli spazi democratici per ordire, in Fondazioni para cattoliche (usate strumentalmente) ed ultra reazionarie (ammirate da Meloni e da Salvini), azioni di scardinamento delle istituzioni democratiche, con gruppi razzisti, che dileggiano, deturpano Monumenti e Lapidi di combattenti partigiani e di Ebrei, dissacrando Croci e Cappelle nei Cimiteri.

Gli attentati e le stragi si sono susseguite, rimaste ancora coperte inspiegabilmente da omissis: a cominciare da Portella delle Ginestre.

Per fortuna Nostra e (di Sallusti) il frutto istituzionale e costituzione di quel 25 Aprile del 1945 ha retto. Anche quest’anno, inneggiato dallo sventolio di migliaia e migliaia di bandiere sui balconi e dal canto di Bella Ciao che ha furoreggiato in tante lingue in moltissime contrade del Pianeta.

E per quanto sabotata e non attuata pienamente la Costituzione regge. La Repubblica democratica reggerà e consentirà a Sallusti e ai tanti “sallustini” di continuare a screditare, invano, e a raccontare sciocchezze variamente colorite.

Il 25 Aprile ha portato la Liberazione dal giogo nazi fascista, con una Repubblica e una Costituzione invidiata.

Con libertà individuali, politiche, sindacali e culturali, con stampa libera e libere associazioni. Libertà che erano state soffocate dal Regime fascista.

Caro Sallusti, ringrazi Tutti coloro che si sacrificarono per darCi una Patria vera, libera e capace di far camminare a testa alta i suoi cittadini, non più sudditi, in tutte le strade del mondo.

Degni di chiamarCi Italiani.

W il 25 Aprile del 2020. Sempre. Noi lo festeggeremo.

SECONDA PARTE

Senza Storia non c’è Memoria. E senza Memoria si regredisce.

Per coloro che vogliono ripercorrere gli avvenimenti che portarono al 25 Aprile.

………..

Dal discorso di Pertini alla e camere in occasione della sua elezione a Presidente della Repubblica.
«Qui vi sono uomini che hanno lottato per la libertà dagli anni ‘20 al 25 aprile 1945. Nel solco tracciato con il sacrificio della loro vita da Giacomo Matteotti, da don Minzoni, da Giovanni Amendola, dai fratelli Rosselli, da Piero Gobetti e da Antonio Gramsci, sorge e si sviluppa la Resistenza. Il fuoco che divamperà nella fiammata del 25 aprile 1945 era stato per lunghi anni alimentato sotto la cenere nelle carceri, nelle isole di deportazione, in esilio. Alla nostra mente e con un fremito di commozione e di orgoglio si presentano i nomi di patrioti già membri di questo ramo del Parlamento uccisi sotto il fascismo: Giuseppe Di Vagno, Giacomo Matteotti, Pilati, Giovanni Amendola; morti in carcere Francesco Lo Sardo e Antonio Gramsci, mio indimenticabile compagno di prigionia; spentisi in esilio Filippo Turati, Claudio Treves, Eugenio Chiesa, Giuseppe Donati, Picelli caduto in terra di Spagna, Bruno Buozzi crudelmente ucciso alla Storta. I loro nomi sono scritti sulle pietre miliari di questo lungo e tormentato cammino, pietre miliari che sorgeranno più numerose durante la Resistenza, recando mille e mille nomi di patrioti e di partigiani caduti nella guerra di Liberazione o stroncati dalle torture e da una morte orrenda nei campi di sterminio nazisti».

Come si vede il Presidente Pertini ha voluto commemorare tutto il percorso della Resistenza contro il Fascismo che è iniziato fin dalla nascita del Regime, ricollegandolo con il Suo proclama rivolto ai Milanesi invitati all’insurrezione:

«Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire».

Stava per concludersi il più nero e tristo periodo della recente Storia dell’Italia iniziata nell’Ottobre del 22. È il giorno della fantomatica Marcia su Roma di squadristi fascisti guidata dai futuri Gerarchi intenzionati a minacciare la presa del potere con le armi. Sostenuti dalla borghesia agraria e da quella industriale, complice la stessa Monarchia, avendo il Re impedito di inviare l’Esercito contro i dimostranti e decidendo per di più di conferire l’incarico a Mussolini di formare il Governo. Forze economiche, Ambienti monarchici e la stessa Chiesa contavano di usare gli squadristi in funzione antisindacale e contro i Partiti di sinistra propugnatori di un sistema politico istituzionale che metteva in discussione il predominio incontrollato delle proprietà private a scapito del lavoro e dei lavoratori nelle fabbriche e nei campi.

Si illusero. Mussolini da subito dimostrò l’ambizione totalitaria del potere: persecuzione, incarcerazione e soppressione degli avversari.

Cancellazione di diritti individuali, sociali e politici.

Sotto gli occhi per certi versi compiaciuti di una Chiesa zittita dai favori concessi con il Concordato… era arrivato “l’Uomo della Provvidenza”!

Abolite le libertà sindacali, politiche, culturali; cancellati Partiti, Sindacati, Associazioni, anche cattoliche, tranne quelle asservite; soppressa la libertà di stampa, tranne quella ossequiosa. Una politica interna di soppressione degli oppositori, schedature e inseguimento e attentati anche se fuoriusciti: tribunali speciali, polizia squadrista.  In economia scelta autarchica. Una apolitica estera di vagheggiamento colonialistico e imperialistico, sull’onda delle spartizioni e degli accaparramenti colonialistici da tempo operati da tanti altri Stati europei: la ricerca di un posto al Sole. La fondazione in riedizione dell’antico impero romano, con simbologie gestuali, figurative, architettoniche e di slogan. Ambizioni vanagloriose che spingono verso un inevitabile congiungimento ideale, politico e militare, con il Nazismo hitleriano: affermazione della superiorità di uomini su altri uomini, soppressione di quanti considerati inferiori. “Patto d’acciaio” e progressivo allineamento del Fascismo al Nazismo. “Asse Roma – Berlino” e inebriante dimostrazione di invincibile potenza. Con progressiva identificazione della rincorsa mussoliniana alla più degradata politica di odio razziale praticata nella storia dell’umanità: lo sterminio etnico di 6 milioni di Ebrei, di migliaia di omosessuali, di zingari, di oppositori. Leggi razziali, sottoscritte da comitati scientifici asserviti al potere tanto da rinnegare le stesse fondamenta della Scienza. Una completa sudditanza e complicità del Fascismo al servizio delle politiche naziste, con le persecuzioni fasciste degli Ebrei esclusi prima dalla vita pubblica e poi retate e catture e convogliati verso la Germania con partenza dal “Binario 21” della Centrale di Milano. Una ferita gravissima al millenario patrimonio di cultura umanitaria vissuto dalle genti italiche.

Manifestazioni esaltanti di potenza, tanto pomposamente propagandate quanto rivelatesi vacue alla prova dei combattimenti reali sul campo, non nella oleografia di regime. La corsa impazzita di Hitler ad occupare gli Stati europei.

L’avanzata frenetica delle truppe “ariane” precedute dai devastanti Panzer. La mal vissuta invidia di Mussolini, dapprima osservatore e poi, disattendendo anche i consigli più avveduti, boriosamente spintosi ad annunciare impettito la dichiarazione di guerra a Francia e a Inghilterra. Tante folle applaudenti in ogni piazza d’Italia, fanatizzate a sentirsi pronte a partire, per combattere, vincere e tornare in poche settimane a casa, in un esercito di soldati vittoriosi e orgogliosi di aver servito trionfanti la Patria.

Tanti giovani allora plaudenti nel corso dei tragici eventi bellici maturarono il rigetto del Fascismo d cui si sentirono ingannati. Diventeranno Partigiani.

Intere generazioni, da piccoli balilla, a giovani figli della Lupa, a giovani iscritti al Fascio e alle varie organizzazioni, dal FUAN ai GUF universitari, tutti addestrati all’obbedienza cieca, alla venerazione del Duce onnipossente e ogni presente, dalle ricette di cucina, alle sue imprese stagionali, ora su una trebbia per al campagna del grano, ora sbracciato a scavare un fosso di bonifica, sempre da Grande Guida e Grande Condottiero. Solo Libri scolastici approvati dal Regime, con Maestri soggetti a sottoscrivere giuramenti di fedeltà.

Si recita con Blasfemia: Mussolini Ti vede… Dio no.

Applaudono la dichiarazione di guerra pronti a partire come se fossero stati invitati ad una festa da ballo. Impavidi? No, incoscienti, semplicemente fanatizzati da una propaganda martellante che ne aveva fatto degli inconsapevoli strumenti di morte. Nati, allevati e cresciuti per combattere per il Duce e per la Patria. Una Patria identificata con i sogni insani di un uomo che presto diventerà un “…fantoccio, un burattino…” come scriverà in una delle ultime lettere all’amante Claretta Petacci. Troppo tardi!

I campi di battaglia si rivelano per quelli che sono sempre in una guerra: scontri mortali, inseguimenti, catture e carneficine. I fronti cedono dappertutto. Le campagne di conquista si rivelano ingloriose sconfitte. Drammatica e tragica si rivela la campagna delle “Centomila gavette di ghiaccio”, soldati mandati, su richiesta di Hitler, a congelarsi sulle rive le Don o a restare seppelliti nelle tormente di neve durante le impossibili ritirate.

Male armati, mal vestiti e mal guidati.

Gli alleati nei primi di Giugno 43 occupano la Sicilia.

La tragica realtà delle ritirate da tutti i fronti scavò anche nelle fila dei fidi e più intimi collaboratori di Mussolini. Consolidarono il convincimento che bisognava cessare la partecipazione alla guerra e che ciò poteva essere fatto togliendo a Mussolini il comando delle operazioni di guerra, cioè dimissionandolo. Siamo nella lunga notte del 25 Luglio 43. La notizia del dimissionamento di Mussolini seguito dal suo arresto, fu accolta con sfrenato entusiasmo dagli italiani scesi nelle strade, convinti che la caduta del Fascismo equivalesse anche alla fine della guerra. Non fu così. Il Re e il nuovo Governo a guida Badoglio tardarono a comunicare indicazioni chiare: avevamo firmato l’8 Settembre un Armistizio con gli Alleati e di colpo non eravamo più alleati di Hitler.

Ma l’esercito per troppi giorni non ricevette ordini chiari. Si vissero giorni di tremenda incertezza. I tedeschi ne approfittarono per rafforzare le loro armate.

In più, facilitati da complicità mai accertate, liberarono Mussolini posto agli arresti in una località del Gran Sasso. E lo “convinsero” a ri-costituire un potere fascista proclamando la nascita di una Repubblica e nominando un Governo, quello della R.S.I., alle dirette dipendenze di un Comando nazista, sempre in contatto con Berlino, per eseguire gli ordini di Hitler.

La Penisola divenne un terreno di scontro sul quale gli abitanti e i soldati si trovarono a difendersi da attacchi concentrici. I tedeschi e i fascisti repubblichini infierivano intimando con bandi l’arruolamento nelle loro fila. Il Re e i Presidenti dei Governi provvisori rafforzarono i contatti con l’esercito franco-inglese-canadese- statunitense, stabilendo di fatto di fatto un’Alleanza e quindi emanando bandi per chiamare le classi di leva ad arruolarsi all’Esercito regio.

La gravissima situazione impose a tutti i giovani del tempo ed anche ai “richiamati” di fare una scelta:

1) rispondere ai Bandi nazifascisti ed arruolarsi per combattere contro l’esercito degli Alleati che avanzano nella Penisola con accanto reparti dell’Esercito regio

2) rispondere ai Bandi dei Governi provvisori di arruolarsi nell’Esercito regio ormai schierato a fianco degli Alleati e combattere contro i nazifascisti

Era successo che dopo l’8 settembre migliaia di soldati, con i loro Comandanti, presenti nelle caserme localizzate in territori controllati dai nazifascisti, rimasti senza ordini certi da parte del Re e di Badoglio rifugiatisi a Bari, vissero notti e giorni tormentati. In tutti era ormai chiaro l’esito di una sconfitta ormai avvenuta, rispetto alle premesse vaneggiate di sicura vittoria. Pochi Comandanti di fede fascista proseguirono a combattere obbedendo agli ordini nazisti, mentre i soldati ed i sottufficiali che poterono cercarono di rientrare a casa. Molti Comandanti “sciolsero le righe” lasciando i sottoposti liberi di scegliere e di mettersi in salvo per come sarebbe stato loro possibile.

Tanti Comandanti, non potendosi unire ai reparti dell’Esercito regio, dissero ai sottoposti cosa avrebbero fatto loro: si sarebbero sottratti ai comandi nazifascisti, riportandosi in montagna, per rafforzare le fila dei combattenti contro il nazifascismo. Lì c’erano già da tempo gli oppositori al Regime che avevano preconizzato, dopo il 25 Luglio, la sicura fine del Regime, anche se hanno dovuto aspettare per quasi due anni.

È lì in montagna, dalle pieghe degli Appennini centro settentrionali alle Valli alpine, si sono organizzate varie formazioni di combattenti. Alcune di ispirazione comuniste, altre socialiste, altre azioniste, altre cattoliche, altre autonome. Tutte arrivate a riconoscersi in un centro di coordinamento nazionale il C.L.N, costituitosi a Roma, ma poi dispiegatosi regionalmente con Comitati nelle aree centro- settentrionali. Molti giovani si rifiutarono di presentarsi ai Comandi nazifascisti e, non potendosi aggregare ai reparti del regio esercito, se ne andarono in montagna ad ingrossare le formazioni, le bande che si erano costituite intorno a figure di capi banda che in poche settimane si erano guadagnate stima e rispetto. Si trattava di Comandanti di appartenenza politica. Si trattava anche di comandanti con gradi militari. Capaci di guidare nei fatti d’arme gruppi di giovani soldati sbandati, di renitenti alla leva e al richiamo, di civili che con passione si mostrarono pronti a sostenere le formazioni partigiane. Anche ufficiali lontani da appartenenze politiche, ma capaci di raccogliere le ospitalità, i sostegni diretti e indiretti di vaste fasce delle popolazioni delle singole zone. Popolazioni che, accusate di complicità, hanno dovuto subire terrificanti rappresaglie di decimazioni, di distruzioni, di incendi di interi abitati, fino alla fucilazione indistinta di vecchi, di donne incinta e di bambini.

A lungo si è creduto che la Resistenza sia stata combattuta dalle popolazioni delle regioni centro settentrionali e che i Meridionali non vi avessero contribuito. Le ricerche più attente stanno rivelando che sì, le formazioni partigiane si sono costituite ed hanno operato lì, ma che in quelle formazioni hanno dato notevole contributo alla lotta partigiana migliaia e migliaia di meridionali. Nella sola zona ligure-piemontese sono stati circa 7 mila, tra cui i soli calabresi sono stati circa 1.000. Tra questi vi sono combattenti di tutti i Paesi del Reventino.

Di Carlopoli, oltre al Patriota Astorino Luigi (Lupo), al partigiano Muraca Carlo (Pizzo) celebrato con medaglia d’argento, anche se solo da discendenti, sono da considerare i due fratelli Tallarico, Antonio e Federico, e la sorella Caterina.

Loro tre sono nati a Marcedusa, ma sono discendenti da un progenitore nato a Carlopoli e da una progenitrice nata a Bianchi. Tutti e tre hanno combattuto nella Divisione Autonoma “Sergio De Vitis” in Val Sangone, comandata da Giulio Nicoletta, di Crotone, che era lì con il fratello Franco, anch’egli combattente e Comandante di Brigata. Nella zona, dal fratello Federico, arrivò dai Balcani Tallarico Antonio, che ha scelto di essere seppellito a Carlopoli Egli combatté nella banda “Frico” del fratello e ha svolto le funzioni di Vice Comandante di Divisione in qualità di Capitano. Il fratello, Tenente   Federico, salito in montagna aveva subito costituito una Banda chiamata “Frico”, un attributo ricavato dalla contrazione del suo nome, poi ingrandendosi è divenuta la Brigata “Nebiolo Secondo”. Prese il nome di un Caduto appartenente alla formazione. La brigata “Nebiolo Secondo”, già “Frico” è stata una delle Brigate della Divisione “Sergio De Vitis” impegnata, con compiti strategici, nella Liberazione di Torino. Alla marcia di Liberazione i due fratelli poterono partecipare perché scampati alla pena di morte a cui erano stati condannati dai nazisti, e liberati appena in tempo. La sorella Caterina, Laureata in Medicina, ha seguito le scelte dei fratelli, divenendo prima staffetta e poi combattente partigiana. La loro storia è in fase di rielaborazione, attraverso l’esame della mole documentaria e delle testimonianze raccolte entro il quadro della lotta partigiana in Val Sangone. Torino fu liberata nel 27/28/29 Aprile, concludendo la totale Liberazione dal nazifascismo dell’intera Penisola.

di Angelo Falbo

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Preside in pensione. Laurea in Materie letterarie presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore. Intellettuale e scrittore. Vive a Carlopoli. È il responsabile della Lega SPI-CGIL del Reventino.

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