Carlopoli – Nonostante gli sforzi profusi e le firme raccolte, non solo l’abbazia di Santa Maria di Corazzo, ma l’intera Calabria è stata esclusa dall’intervento del FAI (Fondo Ambiente Italiano). Nel Sud d’Italia sono stati approvati solo interventi in Sicilia e Campania.
Con un messaggio i responsabili del progetto “Gedeone”, che attualmente gestisce l’importante area storica nel comune di Carlopoli in cui sorge l’abbazia di Santa Maria di Corazzo, intendono ringraziare di cuore tutti coloro che hanno votato per inserire il monastero fra gli interventi del FAI, e soprattutto chi continua a portare nel cuore la Calabria e le sue bellezze. Un grazie viene inoltre rivolto a chi, quotidianamente, ha un pensiero e compie un’azione, anche piccola, a favore dei nostri luoghi straordinari, anche di quelli più dimenticati.
Ma il mancato riconoscimento non viene salutato come un impegno concluso, anzi qualcuno scrive: <<Non credo che la raccolta delle firme sia stata inutile. L’abbazia è stata menzionata su tantissimi giornali, riviste, siti Internet e invaso vari social media cosi come parimenti se ne è occupata la Rai e le televisioni regionali. Una prima nostra battaglia è stata vinta: Santa Maria di Corazzo è ormai conosciuta in tutta Europa. Noi Continueremo in nostro impegno!>>.
Ecco come viene descritta l’abbazia di Santa Maria di Corazzo su Wikipedia, l’enciclopedia libera.
L’abbazia di Santa Maria di Corazzo è un’abbazia fondata dai benedettini nel XI secolo in prossimità del fiume Corace in Calabria, ricostruita successivamente dai cistercensi nel XII secolo, danneggiata una prima volta dal terremoto del 27 marzo 1638 e ancora dopo dal disastroso terremoto del 1783. Dopo questa data il monastero venne progressivamente abbandonato e spogliato delle opere artistiche che conteneva: le sue rovine sono visibili in località Castagna, una frazione di Carlopoli, ai confini con Soveria Mannelli.
La storia di Santa Maria di Corazzo si incrocia con quella di Gioacchino da Fiore, che qui vestì l’abito monacale, divenendone subito dopo abate. Proprio qui a Corazzo Gioacchino da Fiore scrisse le sue opere principali, aiutato dagli scriba Nicola e Giovanni, quest’ultimo prese il suo posto quando andò lui via. Gioacchino, nonostante fosse l’abate del monastero stava per lunghi periodi lontano da esso a causa del suo impegno a scrivere testi di teologia, fin tanto che nel 1188 fu sollevato dal Papa dal guidare l’abbazia affiliando la stessa, con tutti i suoi uomini e beni, ai cistercensi di Fossanova. L’abate Gioacchino si staccò, quindi, definitivamente da Corazzo trasferendosi prima in un porto di quiete chiamato Pietralata, per poi ascendere in Sila nella primavera del 1189 dove fondò a San Giovanni in Fiore una nuova congregazione religiosa detta Congregazione Florense, approvata da Celestino III nel 1196. Nel 1211, dopo la morte di Gioacchino, l’archicenobio florense avanzò diritti di proprietà sull’abbazia di Calabromaria in Altilia di Santa Severina, ma la vertenza venne risolta per l’intervento del pater abbas sambucinese Bernardo e dell’imperatore Federico II, in favore dei florensi di San Giovanni in Fiore. Le acque del Corace servivano ad azionare, presso l’abbazia, un mulino e una gualchiera, quindi a fecondare il sottostante territorio agricolo.