di Luana Caligiuri –
Tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento si attesta un movimento intellettuale, delineato nella cornice della pedagogia utopistica, che accomuna diversi autori nel tentativo di immaginare un modello di società giusta e solidale, nella quale la formazione dell’uomo «perfetto e armonico» si sarebbe dovuta realizzare attraverso un’educazione collettiva gestita dallo Stato. In questa visione è la comunità che forma l’uomo e non viceversa, secondo un modello assai lontano dall’individualismo, tipico della pedagogia umanistico-rinascimentale, e destinato a influenzare notevolmente la pedagogia contemporanea.
Di questa corrente di pensiero fanno parte diversi intellettuali dell’epoca, da Tommaso Moro a Tommaso Campanella, fino a Francesco Bacone, studiosi delle humanae litterae e tutti impegnati, pur nelle loro diverse prospettive filosofico-politiche, nel realizzare un nuovo modello di società, sulla spinta di un utopismo che non ha precedenti nella storia del pensiero politico della prima modernità. Portavoce di queste nuove istanze, durante i primi anni del Cinquecento, fu in particolare Tommaso Moro, uno degli esponenti maggiori dell’Umanesimo inglese, il quale elaborò nella sua opera Utopìa, edita nel 1516, un modello di società giusta, un’isola felice, fondata dal legislatore saggio e illuminato, a partire dalla critica nei confronti della società e dei costumi dell’Inghilterra, attraverso il racconto della vita di un uomo in un’isola immaginaria (Utopia). Lo Stato è fondato su principi democratici per i quali gli uomini sono tutti eguali, non vi è servo, padrone, povero o ricco. L’uno vive in armonia con l’altro e tutti hanno la possibilità – e con essa il diritto – di apprendere il mestiere o l’arte a seconda delle proprie propensioni.
Nell’utopia di Tommaso Campanella, espressa compiutamente ne La città del Sole, i riferimenti prossimi sono la Repubblica di Platone e l’Utopia di Tommaso Moro, anche se lo spirito che informa l’opera è più vicino a quello del filosofo greco. Al pari della città platonica, anche in quella campanelliana vige una fortissima esigenza di unità tra la popolazione, attestata da un vivere civile, in cui niente è lasciato al caso: ogni aspetto della vita sociale è regolato non tanto dalle leggi, che sono praticamente ridotte al minimo, quanto dai costumi, che sono comportamenti interiorizzati dalla comunità.
Sulle orme di Moro, Campanella idealizza una nuova forma di Stato: repubblicano, comunitario e teocratico a cui ha dato il nome di Città del Sole. Nell’opera, l’autore trova la propria rivendicazione: lo Stato così delineato è un luogo dove alberga sovrana la pace, l’armonia del vivere civile e secondo giustizia sociale, uno spazio in cui nessun tipo di violenza ostacola il percorso di vita umano. Campanella intende realizzare una “repubblica filosofica” di ispirazione platonica, nella quale, per governare uno Stato, e dunque affinché gli uomini imparino ad essere dei veri cittadini, sono necessarie le leggi, veicolo di valori e, al contempo, strumenti adatti per sapersi muovere nel contesto civile. Chi governa, è sovrano solo se possiede la virtù della prudenza e non dell’astuzia, sinonimo di tirannia.
Peraltro, lo Stato di società è aristotelicamente connaturato nell’uomo. Per Campanella, lo stato di natura è uno stato prettamente sociale da cui deriva lo sviluppo della personalità in relazione alla comunità e non è svincolato da essa. La naturalità, cui si riferisce il Campanella, si identifica con la razionalità; la comunità è naturale perché in essa l’uomo trova la sua razionalità e moralità. La concezione dello Stato come corpus politicum ritrova in Campanella l’idealizzazione filosofica di un mondo privo di ingiustizie, in cui regnano sovrane la pace e la stabilità. Poiché l’uomo è posto in un mondo in cui predominano le forze contrarie al bene, è necessario trovare una regola che imponga la giusta misura.
Il pensiero di Campanella si inserisce ovviamente nel contesto rinascimentale, che conobbe la propria fioritura nella letteratura utopica. Quell’età, caratterizzata da grandi trasformazioni economiche e sociali, dalla nascita degli Stati moderni e dall’esigenza di giustizia e di rinnovamento religioso, dette origine al risveglio degli ideali democratici, una sorta di rivendicazione della dignità umana, compiutamente espressa nell’Orazione sulla dignità dell’uomo di Pico della Mirandola. In contrapposizione alla cruda storicità del tempo, scandita dagli eventi più drammatici, l’uomo si colloca in una ‘realtà’ altra, in una città che non c’è, per suggerire norme e criteri di una comunità possibile in cui gli uomini possono vivere una vita giusta e armoniosa.
Come per Platone, anche per Campanella l’eugenetica e l’educazione sono i fondamenti della città ideale. La prima garantisce che gli individui siano dotati delle migliori disposizioni naturali, mentre l’educazione deve fare in modo che essi trovino nella società la collocazione più adatta alle loro disposizioni. In tal modo ognuno «fa bene quell’esercizio, e con piacere, per essergli naturale». Fin dalla nascita, l’individuo è predestinato a un dato mestiere e l’apprendimento per lui è un gioco: «li figliuoli, senza fastidio, giocando, si trovano saper tutte le scienze istoricamente prima che abbino dieci anni». Il sistema educativo interdisciplinare proposto da Campanella prevede perciò che «li fanciulli imparano dopo li tre anni la lingua e l’alfabeto […], dopo li sette arrivano alle lezioni di scienze naturali […] di seguito tutti si mettono alle matematiche, medicine ed altre scienze e vanno in campagna ad imparare i lavori agricoli in modo da esser tenuti di più gran nobiltà, che più arti imparano e meglio le fanno». Il sapere che l’individuo apprende deve essere organico ed enciclopedico e il metodo d’apprendimento è quello storico, ispirato da principi realistico-sensativistici e antiformalistici: per il loro apprendimento i bambini partono dall’osservazione dei fenomeni della natura, che essi vedono nelle illustrazioni che coprono i rivellini e le mura della città, su cui sono istoriate le scienze, la storia e le lingue nel loro divenire. La città così si trasforma in un vasto museo, in un’enciclopedia a cielo aperto, grazie al grande libro della natura di derivazione telesiana.
Il processo educativo in Campanella evoca con forza la motivazione all’apprendimento, tale da suscitare nell’uomo, attraverso il proprio sapere, la propria funzione nel mondo. Il pensiero educativo di Campanella riflette la sua concezione filosofica dell’uomo e il fine dell’educazione diviene perciò lo sviluppo della personalità del fanciullo, il quale cresce e si forma in un contesto libero ma etico e, solo successivamente, sceglie la giusta vocazione da perseguire. L’unico compito affidato al maestro è di far da guida al fanciullo. L’apprendimento del fanciullo risulta essere più vero e spontaneo nel momento in cui ci si affida al metodo naturale, perché egli impara a padroneggiare la sua esperienza. Per Campanella, l’ambiente naturale è adatto alla formazione dell’uomo perché salutare allo sviluppo del corpo. Inoltre, la natura offre al fanciullo un ampio spazio da cui attingere le diverse conoscenze, anche in maniera ludica, sperimentandola in assoluta libertà.
Secondo Campanella, la conoscenza di tutte le cose sensibili avviene più dall’osservazione della natura che dai libri di tutte le biblioteche, poiché l’uomo dalla natura apprende soprattutto la condotta sociale e le decisioni pubbliche. Di fatti, uno degli aspetti più importanti da considerare nella nuova città riguarda la conoscenza e il corretto metodo di apprendere. La filosofia telesiana, che Campanella abbraccia, ristabilisce quei raccordi giusti fra le cose e le parole che, nella tradizione aristotelica, si erano affievoliti e perduti. Sebbene in Aristotele rimaneva forte l’esigenza del rapporto con la natura, i suoi sostenitori erano convinti che nel corpus degli scritti del Maestro regnasse l’assoluta verità delle cose e dunque non percepivano più l’esigenza di verificare i fenomeni in natura attraverso l’esperienza, anzi, al contrario, essa risultava essere una minaccia. Campanella muove una convinta accusa nei riguardi dei seguaci di Aristotele, incapaci di uscire dai luoghi chiusi all’aria aperta e di osservare la realtà in cui risiede invece la verità delle cose poste in essere. In questo immaginario, la politica si afferma quale usus practicus, inteso come corpus sociale che si occupa delle sue diversità e che mette in pratica un progetto di formazione umano, il che implica l’insegnamento, volto a creare un nuovo modello di persona, connesso alla sua volontà di emanciparsi e di affermarsi nella sua autonomia.
Il nuovo modello del sapere è basato sull’indagine diretta della natura, simbolo di corpo, così come la repubblica è analoga ad un organismo vivente, capace di proteggere l’uomo e non annientarlo; il corpo è dotato di membra, le quali esercitano una propria funzione ma tutte orientate al benessere comune. Colui che governa possiede la virtù più alta della saggezza di saper governare, svincolata dal nepotismo, portatore di fallimenti e rovine di ogni repubblica. La città sarà tanto più compatta e felice quanto più sarà un «corpo di repubblica».
Certo, questa costruzione teocratica, neoplatonica, evidentemente non può essere accostata al modello democratico dello stato di diritto, perché è qualcosa di contemporaneamente più ampio, più filosofico, più universalistico, e però anche il più ristretto, ovvero più legato ad un’impalcatura che è appunto filosofica e teologica.
In un’ultima istanza, le considerazioni filosofiche, politiche e pedagogiche di Campanella risultano essere di una grande attualità, tanto è singolare il suo pensiero.
Secondo Campanella, attuando un mutamento del sapere e dell’educazione, modulandoli in termini naturali, si possono attenuare tutti i mali che affliggono la società. Calata nel suo tempo, eppure estremamente attuale, la riflessione di Campanella appare sorprendentemente moderna per l’accento posto a un approccio unitario delle problematiche all’interno della comunità, per la messa in evidenza dell’accordo tra i cittadini, come fondamento del vivere civile, secondo principi razionali e unitari e, infine, per la personale interpretazione del processo educativo in nome dell’osservazione della natura. La civiltà passa dalla comunità.
Luana Caligiuri