Bella. Molto bella la rappresentazione teatrale offerta dall’Istituto Comprensivo “Gianni Rodari” di Soveria Mannelli- Carlopoli. Non è un’attribuzione di natura estetica, ma etica. Per la sua carica educativa. Per le emozioni suscitate. Per i sentimenti risvegliati. Per le riflessioni indotte. Il tema scelto è difficile, tragicamente difficile: la guerra 1914-18, la “Grande Guerra”, la Prima Guerra Mondiale e, per l’Italia, la Quarta Guerra di Indipendenza , secondo alcuni studiosi.
Un evento tragico con i suoi venti milioni di morti, superato di lì a poco dalla Seconda Guerra Mondiale con quaranta milioni di morti, di cui venti della sola ex U.R.S.S. Un evento rimasto controverso nelle cause, nelle finalità e nella stessa conclusione. Combattuto su più fronti, acceso da un attentato, quello di Sarajevo, ma, a meglio analizzarlo, preparato da tempo da circoli reazionari – militari soprattutto europei , interpreti degli interessi imperialistici delle Case Sovrane, preoccupate, all’esterno, dell’avanzata indipendentista di tanti Popoli e, all’interno, dall’avanzata emancipatrice di vaste masse popolari reclamanti Terra (Lavoro), Tutele sociali e Diritti politici e sociali.
Un tema storico di vasta e drammatica portata. Difficile da trattare per la complessità dello scenario, dei fattori e degli stessi eventi militari.
Che invece è stato “trattato”, con grandissima capacità rappresentativa, con una esposizione sequenziale di sicuro effetto, con un canovaccio costruito per tenere insieme i molti fattori, attraverso il filo di una “voce narrante” assai efficace. Nella doppia versione visiva dei ragazzi interpreti e dello schermo che sostiene, con le immagini, fatte scorrere in successione, i momenti più rilevanti e pertinenti, ben scelte, allo svolgimento della trama: luoghi, visi, armi, trincee, marce, combattimenti, feriti, morti. Con commenti sobri e incisivi che appropriatamente ne arricchiscono il significato.
“Terra di nessuno”.
Già il titolo dell’“opera”, risulta evocativo. Allo stesso tempo segnala l’improvvida azione di Uomini chiamati alle armi per combattere per niente, ed anche il monito per la crudeltà di spingersi a combattere, tra una trincea e l’altra, in uno spazio destinato a divenire soltanto suolo di accumulo di cadaveri, dell’uno e dell’atro esercito. Dove si finisce per “farla finita”, sapendo dell’altissimo rischio di restare crivellato dai colpi del nemico, perché troppo ci si espone, perché si rischia di rimanere impigliato nei fili spinati, o si inciampa su bombe a mano non esplose, saltando in aria.
Nemico di chi? Lentamente il soldato chiamato alle armi per difendere la Patria si domanda e costruisce una consapevolezza di essere divenuto “carne da macello”. Era stato invogliato a partire per avere poi un po’ di terra. Spinto dalla miseria era partito con la speranza di poter raggranellare qualche soldo. Per tornare presto, come veniva propagandato dalle Autorità politiche e militari, comprare un piccolo podere, una casetta, crearsi una famiglia, o sostenere quella che si ha. Molti giovani e meno giovani erano partiti dalle regioni meridionali con tali propositi e speranze. Ora si trovano comandati ad uccidere altri soldati che non hanno mai conosciuto, con i quali non avevano mai avuto niente da “spartire”. Giorno e notte, per anni. In condizioni miserabili. Ancor più nei lunghi inverni, sulle alte quote della catena alpina. Non solo gli spari nemici, ma anche le malattie, congelamenti, cancrene, assalti epidemici. E sembra non finir più. Gli ordini dei Capi militari appaiono sempre più senza senso. I ragazzi della Brigata Catanzaro, ad ondate vengono obbligati ad avanzare divenendo davvero “immolati alla carneficina”. Una loro rimostranza sulla insensatezza dei piani di combattimento li porta ad essere considerati “disertori”, “vigliacchi” e “traditori”, con fucilazione immediata alle spalle, sul campo. Quando invece danno prova di grande coraggio. Troppo tardi riconosciuto. E vi sono anche le ansie dei familiari che aspettano sì l’arrivo del Portalettere, ma al vedere poi il “Postino” temono possa portare notizie di lutto. Come si sta ripetendo giornalmente nelle varie “rughe”.
Bravissimi i colleghi della regia. Bravissimi i ragazzi interpreti. Bravissimi i collaboratori alle luci ed ai suoni.
Offrono uno spettacolo di talento teatrale.
La scenografia nella sua semplicità dei costumi, degli arredi, consente al canovaccio di lasciare il “segno”. Cioè di comunicare un messaggio chiaro e diretto. A ciò contribuisce la tecnica della successione a “quadretti” dei dialoghi, nel mentre tutto lo svolgimento, di gesti, di parole, di musiche, di rumori, di raffiche di sparatorie e di mitragliatrici, elevano a denuncia quanto avviene: uno scontro sanguinario e senza senso, le cui vittime sono usate, le une contro le altre per ragioni a loro incomprensibili e divenute inaccettabili nelle loro coscienze… una “inutile strage”. Aveva gridato bene, il Papa Benedetto XV, per fermare la Guerra. Resta inascoltato.
La guerra scoppia e si ripete.
Bello ed emozionante l’intreccio dei momenti cantati: per il contenuto delle canzoni, ma di più per l’emotività prodotta dalla bravura delle due ragazze che si sono avvicendate tra una scena e l’altra.
Bella, anche nel dolore, e ben interpretata la vicenda di innamorati del calabrese Totò e della vicentina Maria. Tra le sofferenze e i patimenti “quel dolce incontro di affetto” è capace di umanizzare tutto lo scenario. Nel mentre Pietro, bravissimo, ha tenuto dall’inizio alla fine il tono e il senso dell’intera rappresentazione, raggiungendo a momenti effetti di vero e proprio transfert empatico.
Poi… c’è qualche spettatore che può dire di essersene andato a casa senza ricordarsi di un certo soldato austriaco, di nome Franz?
Non appare mai né con gesti, né con parole. Eppure impegna la scena, occupa uno spazio importante nella trama. Con un’invenzione tecnica di pregio, egli, un manichino posto sul piano del palcoscenico, dall’inizio alla fine, vien reso dialogante attraverso il monologo assai intenso di Pietro, quale soldato nemico, inerme e sacrificato sull’ altare di ragioni di una Guerra, questa sì nemica della vita, degli Italiani e degli Austriaci, crudele allo stesso modo. Fermo e immobile il soldato – manichino straniero impone una presenza che riconduce all’affratellamento e denuncia ancor più visibilmente la nequizia della Guerra che li sta travolgendo nei corpi, ma non nei sentimenti di umanità. Una forma di redenzione, di riscatto dalle efferatezze degli scontri e dei massacri causati dalla Guerra, da qualsiasi Guerra. Benché non riusciamo ad impararne la lezione storica circa la drammatica inutilità. Tanto che ai nostri giorni continuiamo, colpevolmente zitti, ad ascoltare potenti governanti riferirsi minacciosi a rinnovati ricorsi a guerre. Ancor più potenzialmente devastatrici!
La Storia non insegna niente? No. Se viene insegnata… ”da pagina… a pagina”, se viene valutata premiando la “bravura” di chi sa ripetere… ”quattro luoghi e cinque nomi”, allora non solo non potrà insegnare niente, anzi, può divenire pericolosa perché vi si possono giustificare gesti di orgoglio o di rivincita, alimentando ostilità e contrapposizione, tenendo sempre nascosti gli effetti per cui “gruppi sociali di dominio” ne traggono benefici mentre ampie fasce di ceti sociali popolari e ristretti gruppi fanatizzati vanno al “ macello”. Oggi anche le popolazioni civili.
Caro professore Corrado Plastino, e caro gruppo impegnato nella Regia, (prof.sse Cinzia Fiorenza, Pasqualina Arcuri, Giusi Marasco, Emilia Molinaro, Gabriella Sirianni) state offrendo una importante lettura di una drammatica pagina di Storia. Gli applausi che accompagnano ogni singolo momento-quadretto testimoniano sì la bravura dei ragazzi-attori, ma anche la condivisione del messaggio comunicato. Il silenzio, nella accogliente Palestra della Scuola dove gli effetti comunicativi si apprezzano pienamente, anch’esso negli spettatori, piccoli e grandi, segnala la condivisione dell’evento. Certo, nonni, genitori e familiari dei ragazzi in scena tradiscono l’apprensione della speranza di assistere ad una sicura recitazione, ciascuno dei proprio figlioli.
Ma tutti abbiamo partecipato ad uno spettacolo molto bello. Educativo e educante. La Scuola non ha perso tempo. Ha svolto appieno la propria funzione, percorrendo una strada didatticamente faticosa, ma intelligentemente fruttuosa e virtuosa sul piano educativo-formativo. Come sempre fa in tante iniziative. Si dimostra cosi che la Scuola, l’ IC “G. Rodari ”, quando ben collaborata dai Genitori e sostenuta dalle due Amministrazioni Comunali, sa sprigionare energie intellettive e operative all’altezza dei tempi e delle esigenze richieste di piena formazione dei ragazzi-cittadini di questi nostri territori. All’appello rivolto al Pubblico a fine rappresentazione, perché si prendesse la “parola”, ho scelto di vincere il desiderio di intervenire, conoscendomi, per non essere indotto ad un intervento di richiamo all’evento trattato, da “lezione di Storia”, rischiando di sciupare il bell’effetto emotivo che si stava respirando. Ma ora, per iscritto, senza poter citare i ragazzi-attori uno per uno, come meriterebbero, posso congratularmi, dire Grazie a Tutti quanti hanno contribuito alla realizzazione della rappresentazione, dai collaboratori scolastici, all’autore del testo e regista, alle docenti registe, al personale ATA, alla dirigente scolastica, che so vicina a tutte le iniziative educative programmate e realizzate.
Tali iniziative oltretutto confortano e riscattano la Scuola dalle pessime notizie di cronaca che pure accadono dentro troppe aule e nei corridoi. Con violenze di Maestre sui bambini e con aggressioni e minacce di Genitori e di Studenti ai Docenti. La Scuola vera è questa che abbiamo visto, la sera del 30 Maggio 2018, durante due belle ore di rappresentazione, che ci ha consentito di capire il dovere di impegnarci a vivere affinché, a dispetto del titolo, la “Terra sia di Tutti”. W la Scuola.
Cliccando QUI si può visionare un pezzo di video (pubblicato sui social da Maria Antonietta Sacco) dello spettacolo portato in scena in teatro dagli studenti.
di Angelo Falbo