Anno Mille. L’Occidente è a pezzi. Segni premonitori si susseguono in cielo e in terra e i cristiani attendono la fine del mondo. La fine del mondo però non arriva. Arrivano i Normanni, e in Italia «questi uomini del Nord» liberano la Sicilia dagli Arabi, mentre l’Islam continua a dominare buona parte della penisola iberica e i cristiani proseguono la lotta per la Reconquista delle terre governate dai Mori («C’è stato un momento nella storia dell’umanità, tra il nono e il quindicesimo secolo, in cui la lingua della scienza era l’arabo. Dalla matematica all’astronomia, dalla chimica alla medicina, il sapere scientifico parlava con la voce del Corano» (Bassoli, 2002).
Passano gli anni, all’incirca due secoli, e nel 1208 Federico II di Svevia, il futuro imperatore del Sacro Romano Impero, essendo figlio di Costanza d’Altavilla – ultima regina normanna – diventa re di Sicilia, un regno che abbraccia il Mezzogiorno d’Italia e dove accanto ad un tessuto demografico sempre più latino e cattolico convivono minoranze linguistiche e religiose di varie etnie, tra le quali si trovano anche musulmani.
L’Italia meridionale piega il capo e nel 1220 Federico realizza l’unione personale di due Corone – Sicilia e Impero – e afferma l’autorità universale derivante da un’investitura celeste (Abulafia, 2006). Nell’isola, la presenza arabo-islamica – nel X e XI secolo – era stata talmente forte da far parlare di una Sicilia islamica e di Musulmani di Sicilia; ed è con quel pezzo di terra islamica che Federico II si trova a fare i conti. Perché è proprio lì, nei territori occidentali del suo possedimento più amato, che il re arriva di persona e inizia una guerra contro Ibn ‘Abbàd, il principe dei credenti, il capo riconosciuto dell’insurrezione saracena.
Si affrontano due mondi. L’emiro è ucciso ma la rivolta non è domata. Federico emette l’ordine di «exterminare de insula» i ribelli, e migliaia di saraceni sono allontanati dalla Sicilia e deportati sulla terraferma. Il grosso del contingente è relegato a Lucera, in Puglia (tra le 15.000 e le 20.000 persone); nuclei minori in Basilicata (Acerenza) e Calabria (Girifalco). Poi – quando nel 1239 il sovrano emana un decreto per concentrare a Lucera tutti i confinati – le colonie minori di Girifalco e Acerenza sono abbandonate.
La storia dell’islamismo in Sicilia si avvia verso la fine. La vittoria del sovrano svevo allontana l’isola dall’oriente arabo e ne indirizza lingua, cultura e religione in senso occidentale. E anche se la ribellione dei saraceni superstiti impegna le forze regie per molti anni, sul continente Federico mostra un atteggiamento diverso. «La vera novità in Lucera fu l’accondiscendenza del sovrano nei confronti della fede musulmana», arrivando ad amare la colonia saracena, favorendo la trasformazione dei ribelli in lavoratori della terra e avviandoli alle produzioni agricole specializzate.
Sono note le assegnazione di mille capi di bestiame – «non tutti addomesticati» – ai saraceni di Lucera, fatte per legare la colonia (Luceria Saracenorum) alla terra ed evitare la fuga e il ricongiungimento coi fratelli rimasti a lottare nell’isola. «Si doveva infatti assolutamente evitare che i saraceni sul continente ritornassero in Sicilia, tuttora fermentante dei pochi musulmani rimasti» (Abulafia, 2006).
L’atteggiamento di tolleranza nei confronti delle aggregazioni islamiche presenti sulla terraferma è favorito, probabilmente, dall’avvio di trattative col sultano dell’Egitto e più in particolare dalla stipula di un trattato di pace (1229) che consente a Federico II di entrare in possesso di Gerusalemme senza combattere guerre sante. Ma esso nasce anche dal bisogno di realizzare obiettivi economici (incremento della produzione agricola) e politici (tentativi del Giustiziere della Sicilia occidentale di stipulare un accordo coi musulmani rimasti intorno alla fine del 1239).
Egli permette ai musulmani di Lucera di esercitare il loro culto, e anche in Calabria nuclei di famiglie musulmane convivono con la popolazione locale e avviano (in alcuni casi continuano) traffici con le terre arabe. D’altra parte, ancor prima dei normanni «anche la Calabria […] conobbe la convivenza di piccole comunità musulmane»; comunità civili che «si inserirono nelle regioni e coabitarono con gli autoctoni, mettendo in moto quella macchina di scambi linguistici, sociali, culturali, religiosi, che arricchì reciprocamente le due culture» (Procopio, 2017).
Uno dei prodotti più ricercati è la seta grezza («La seta nel Medioevo era più preziosa delle stesse monete d’oro», dirà Sarah Procopio). Un prodotto che già gli Amalfitani vendono da tempo nel mondo arabo (È forse importata dai saraceni quella varietà di gelso moro le cui foglie servono per l’allevamento del baco da seta?). E proprio per alimentare quel commercio il mercante arabo Muhammad al-Kattâni, «nei giorni di Nayruz per visita in questo posto per comprare seta», giunge nella terra di Nuceria di Bonporto Terinaeum Scopulum.
Una terra – la Nuceria calabrese – dove gli abitanti si raggruppano all’interno di una cinta muraria sul poggio della Motta, lontani dal mare, protetti da alture e vallate fluviali e isolati da un fossato profondo che può essere attraversato solo da un ponte levatoio. Poi, quando la popolazione cresce di numero, la Motta non riesce a contenere la gente in arrivo e l’abitato inizia a espandersi al di là del Fosso Cupo, nelle zone collinari (Ventura, 1955).
Ma nel 1240 tutto cambia. L’imperatore, per ottenere il possesso totale del castello di Nicastro, cede terram Nuceriae all’abbazia benedettina di Sant’Eufemia, e da allora il centro abitato diventa un feudo ecclesiastico. Poi, nella seconda metà del secolo, i frati benedettini lasciano il posto ai frati dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme, e anche il feudo di Nocera passa sotto i Cavalieri Ospitalieri, diventati in seguito Cavalieri di Malta.
Considerato che (a parte i Teutonici) i rapporti tra Federico II e gli Ordini religioso-militari sono pessimi (si ricordano «la spogliazione dei beni di Templari e Ospedalieri nel regno di Sicilia» e l’ulteriore inasprimento dei rapporti «dato che, a quanto pare, i Templari ostacolarono le iniziative diplomatiche avviate dall’imperatore per il recupero senza ostilità di Gerusalemme, arrivando persino a tentare l’uccisione del sovrano sulle rive del Giordano», annota Vito Ricci), si capisce come quell’anno segni un passaggio importante per Nocera, perché il centro perde le prerogative di terra demaniale dipendente direttamente dalla Corona, diventa feudo religioso e di lì a poco transita addirittura sotto la giurisdizione di un ordine militarizzato.
Tutto cambia. Morto Federico II e sconfitti gli Svevi guidati da Manfredi (1266) e da Corradino (1268), Lucera è assediata e conquistata da Carlo I d’Angiò, il nuovo re di Sicilia diventato il braccio armato dello Stato della Chiesa. Esattamente 750 anni fa – il 27 agosto 1269 – i «lucerini pagani» superstiti si arrendono. «Uscirono dalla piazzaforte scalzi, la corda al collo, chiedendo solo salva la vita» (Panetta, 1973).
Trascorrono altri anni. Nel 1282 la guerra del Vespro spezza l’unità territoriale del Regno: la Sicilia passa agli Aragonesi e le terre del continente (con capitale Napoli) restano agli Angioini. Ed entrambi – Angioini e Aragonesi – si contendono con la diplomazia e con le armi il controllo del territorio. Poi arrivano la Riforma protestante e la Controriforma cattolica e cambiano molti atteggiamenti della coscienza religiosa. Le forme tradizionali della devozione e della religiosità popolare si arricchiscono di nuovi riti, di litanie e canti dolorosi, di espressioni penitenziali, di flagellanti; e si sviluppa uno spiritualismo laico che trova la sua manifestazione nelle Confraternite dell’Orazione e della Morte.
Nel frattempo, a Nocera, sorge una chiesa dedicata a san Francesco (sì, quel Francesco d’Assisi che, al tempo di Federico II, era andato in Oriente e aveva parlato col sultano d’Egitto Malik al-Kamil per chiedere la liberazione della Terra Santa). L’abside è divisa dalla navata da un grande arco trionfale in pietra tufacea («arieggiante lo stile arabo-normanno, che è stato annoverato tra i monumenti nazionali», scrive Ventura), di fattura contemporanea all’epoca di avvio della costruzione del Convento dei Minori Conventuali (seconda metà del Quattrocento), poggiato su pilastri ottagonali, con una scritta in arabo e raffigurazione di simboli che alcuni esperti hanno giudicato chiaramente templari.
Fin qui le vicende per come sono state tramandate dalla storiografia. A questo punto, però, sorgono spontanee alcune domande.
Saraceni ribelli di Sicilia possono essere stati deportati anche nella “Nuceria di Bonporto”? Oppure è esistito un piccolo nucleo di famiglie che coabitano con la popolazione autoctona dando vita a un modesto insediamento civile? L’abside quadrangolare con volta «che ha forma di calotta sferica» dell’attuale chiesa di san Francesco può essere stata utilizzata, in precedenza, come luogo di culto islamico?
Di solito, perdere lo status di città libera per diventare feudo di un ordine religioso militare è un evento traumatico. Possiamo quindi ragionare serenamente e cercare di capire in quali scenari è chiamata a vivere la comunità nocerese dopo la morte di Federico, quando il centro, con i suoi 1.350 abitanti, dopo aver perso le libertà garantite dalla demanialità statale passa dai benedettini sotto il controllo ferreo e diretto dei cavalieri dell’ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, il futuro Ordine di Malta? (Tutto questo, considerato che gli Ospedalieri – al pari dei Templari – sono stati avversari e nemici giurati dell’imperatore svevo sia nella penisola italiana che nelle regioni del vicino Oriente, dove s’incontrano e si scontrano grovigli di popoli e di Corone per il controllo e lo sfruttamento dei Luoghi nella Terra Santa). E infine, nelle pieghe di questo racconto, potrebbero essere individuati gli elementi base che hanno dato vita – oppure hanno contribuito a dare vita – al rito dei Vattienti di Nocera Terinese? (Un rito che – come scrive Vito Teti – «appartiene alla storia religiosa e sociale della Calabria»).
Non sono interrogativi di poco conto. E so bene che non ci sono risposte semplici. Sull’origine dei Vattienti, poi, non conosco versioni condivise. Lo dice anche Simona Loi («The ritual’s origin is strongly debated between those who consider them heirs to the crowds of Catholic flagellants, which were born in Italy during the Middle Ages, and those who believe them to be descendants of ancient pre-Christian cults») nel suo “De-orientalising Ritual Blood. Calabria’s Vattienti, a Case Study”, con il quale la studiosa ridefinisce i rituali di flagellazione e analizza «atmosfere ed emozioni affettive» create e vissute sia dai Vattienti di Nocera che dai flagellanti di Beirut (Libano).
Considerazioni finali. Ho realizzato l’articolo perché desidero trasmettere ai lettori la suggestione dei pensieri appena espressi, che mi girano nella mente e compongono il mosaico di una Nuceria diversa da quella che abbiamo finora conosciuto. Le suggestioni non fanno la storia, è vero! Però le ispirazioni, gli stimoli, la fantasia, le visioni hanno spinto gli uomini verso territori inesplorati. Ricordate Colombo? Si è avventurato verso l’ignoto e ha scoperto un Nuovo Mondo, senza riferimenti precisi e senza fonti. E qui mi fermo. Ora in campo devono scendere storici di professione e studiosi, se si vuole andare avanti su questi argomenti, se si vuole certificare dove finisce l’immaginario e dove inizia la storia. E io sarò grato a loro per il lavoro che svolgeranno.
Armando Orlando