Pensiamo spesso che le tradizioni siano monolitiche espressioni del passato, reliquie custodite da secoli con cura e conservate gelosamente. A un più attento studio si rivelano invece frutto di elaborazioni, accomodamenti e talvolta di vere e proprie invenzioni, come spiegano efficacemente Eric J. Hobsbawm e Terence Ranger in un bel volume che si intitola proprio “L’invenzione della tradizione” pubblicato da Einaudi nel 1983. Nel saggio introduttivo Hobsbawm definisce una tradizione inventata come “un insieme di pratiche regolate da norme apertamente o tacitamente accettate” che tentano di “affermare la propria continuità con un passato storico opportunamente selezionato”. Tra gli esempi di tradizioni inventate, gli autori propongono il kilt, il gonnellino scozzese, che tutti crediamo retaggio di millenarie abitudini e che invece è frutto di una serie di invenzioni e “rimaneggiamenti” elaborati a partire dal XVIII secolo.

Ed è certamente frutto di un’operazione, altrettanto interessante, di invenzione e manipolazione della storia il tradizionale culto della Madonna degli Abbandonati, titolo con il quale viene venerata la Vergine Maria a Soveria Mannelli.
L’inventio del quadro…
Non abbiamo a disposizione fonti storiche che ci consentano di ricostruire con precisione l’origine del culto della Madonna degli Abbandonati, le uniche notizie che abbiamo a disposizione sono desunte da un vecchio santino che riporta la storia della chiesetta.
Stando a quanto scritto sul retro dell’immaginetta, alla base della devozione alla Madonna degli Abbandonati e dell’istituzione della relativa festa c’è un episodio piuttosto recente occorso nei pressi della frazione San Tommaso, in località “Mannise” alla fine del XIX secolo. Pare che qui un certo Raffaele Chiodo avesse costruito negli anni ’80 dell’Ottocento un’edicoletta votiva in onore di San Michele Arcangelo. Qualche tempo dopo, il figlio Angelo constatando lo stato di abbandono dell’edicola, decise di restaurarla, ma durante i lavori si imbatté (non viene specificato dove né come) in un’immagine sacra: «un dipinto su lastra di zinco di una Madonna col Bambino e un frate genuflesso» (SIC). Angelo Chiodo conservò per un certo periodo l’opera in attesa che qualcuno ne reclamasse il possesso dopodiché la collocò nell’edicola costruita dal padre.
Di lì a poco un episodio letto dai contemporanei come prodigioso diede l’avvio alla devozione verso il quadro. «Nel luglio 1896, Ippolito Caligiuri, detto “Vamparella” – recita l’immaginetta – dopo lunga attesa, ricevette notizie di suo figlio combattente nella prima guerra D’Africa ritenuto ormai scomparso». La guerra a cui si fa riferimento è la guerra d’Abissinia che vide contrapposti il Regno d’Italia e l’Impero d’Etiopia dal dicembre del 1895 all’ottobre del 1896. Fu probabilmente la prima guerra che vide i giovani calabresi partire “soldati” verso luoghi e mondi sconosciuti. È del tutto comprensibile dunque l’apprensione che la mancanza di notizie da parte del figlio di Ippolito Caligiuri abbia potuto destare nella comunità soveritana e che il saperlo finalmente vivo sia stato salutato con un tale sollievo da ritenere il fatto opera di qualche prodigioso intervento divino, attribuito proprio alla Madonna del quadro.
…e l’invenzione della tradizione
L’inventio, il ritrovamento fortuito e per certi versi miracoloso di un immagine sacra, è un topos molto comune a numerosi luoghi di culto. In Calabria potremmo elencarne addirittura decine (a titolo esemplificativo citiamo la croce di Polsi, la statua della Madonna del Pollino, il quadro della Madonna della Catena di Laurignano…). Attribuire l’origine di un’immagine a un ritrovamento e non a una normale committenza circonda quel manufatto di un’aura sacra e misteriosa: è un dono dal Cielo e come tale va accolto. È una sorta di apparizione: è la Madonna (o il santo raffigurato) che si mostra, sebbene in effigie, e che rende santo il luogo del ritrovamento perché è il luogo che Ella ha scelto e che dunque le è caro. Quella di “inventare” un ritrovamento fortuito di un’immagine sacra è una prassi comune che serve proprio a far sì che essa diventi oggetto di particolare devozione.
Ovviamente non sappiamo se il quadro della Madonna degli Abbandonati sia davvero frutto di un ritrovamento casuale o meno, ma visto che si tratta evidentemente di un dipinto di fattura popolare, quasi certamente coevo ai fatti narrati (fine ‘800), vi è più di un sospetto che l’inventio sia in realtà frutto di invenzione.
Ancora più interessante è però il titolo con cui la Madonna viene venerata. Il nostro santino ‒ che come scrivevamo è l’unica fonte di cui disponiamo ‒ sorvola con grande disinvoltura sulle ragioni di tale denominazione: «La vicenda del ritrovamento della lastra abbandonata – vi si legge – ebbe come conseguenza l’ identificazione popolare del luogo del ritrovamento come “Madonna abbandonata” o “Madonna degli abbandonati”» e, invece, a parere di chi scrive, è proprio qui che si verifica un interessantissimo caso di invenzione della tradizione.
Che il luogo del culto fosse definito “abbandonata” è del tutto pacifico. Tale toponimo resiste ancora oggi a Soveria, dove la chiesetta che sorge sulla strada tra San Tommaso e Bianchi-Colosimi viene ancora denominata in tal modo. Quello che è meno pacifico è che il termine “abbandonata” fosse legato alla Madonna, come lascia intendere l’estensore del testo del santino. Tuttora i soveritani e gli abitanti della frazione San Tommaso definiscono la Vergine: “La Madonna d’abbandunata”. Stante così le cose non sarebbe forse del tutto peregrina l’idea che ad essere definita “abbandunata” fosse in realtà l’edicola votiva, la “cona”, che avrebbe poi contenuto l’immagine sacra e che tale definizione sia stata estesa successivamente alla chiesetta costruita in quel luogo e più in generale all’intera località e la Madonna sia stata conseguentemente definita come la Madonna dell’Abbandonata (come la reliquia linguistica tutt’ora in uso lascia immaginare) piuttosto che la Madonna abbandonata.
Il passaggio da Madonna dell’Abbandonata a Madonna degli Abbandonati non è ovviamente scontato. Anche qui è plausibile ipotizzare che vi sia stato l’intervento di una persona colta (con ogni probabilità, il parroco dell’epoca) che, proprio negli anni in cui il culto prendeva piede, abbia voluto rivestire di un’aura di correttezza teologica quella forma di devozione popolare imponendo il nuovo nome di “Madonna degli Abbandonati”. Ma, si sa, le abitudini non si modificano per decreto e oggi, a distanza di oltre 120 anni, la Madonna è rimasta per tutti quella “dell’Abbandonata”.
La statua
Il tentativo di modifica del culto e del relativo titolo è stato, come dicevamo, assai precoce. Negli anni immediatamente successivi viene commissionata una statua che, come si legge sullo scannello, fu realizzata grazie al generoso contributo di Domenico Cardamone.

L’immagine però non è una riproduzione tridimensionale della Madonna del quadro, come sarebbe stato logico attendersi, ma se ne discosta notevolmente. Il modello iconografico è quello della Madonna della medaglia miracolosa che proprio in quegli anni conosceva in tutto il mondo un successo senza eguali, specie dopo la proclamazione del Dogma dell’Immacolata Concezione da parte di Pio IX nel 1854.
Così come la Madonna apparsa a Santa Caterina Labouré e riprodotta sulla famosa medaglia, anche la nostra statua raffigura la Vergine con le braccia aperte, il mantello appoggiato sulle spalle anziché sulla testa e il capo velato da un fazzoletto. La nostra statua vede però in aggiunta, adagiati ai piedi due derelitti che implorano le agognate grazie. Non v’è alcun dubbio che sia una rappresentazione fedelissima al titolo di “Madonna degli abbandonati”.
La data di realizzazione incisa sullo scannello è il 1902. Ciò vuol dire che se le date che il nostro fedele santino riporta sono esatte, il tentativo di “teologizzare” il culto e la devozione popolare è abbastanza precoce: segue di appena sei anni il presunto prodigio attribuito all’immagine sacra.
Il quadro abbandonato due volte
Sarà stata la statua, con il suo aspetto materno e rassicurante e la possibilità di essere portata in processione, sarà stata l’azione della Chiesa locale che mirava a far dimenticare l’eterodossa Madonna d’Abbandunata in favore della più ortodossa Madonna degli Abbandonati… non lo sappiamo con certezza, quel che sappiamo è che il quadro intorno a cui tutta questa storia si è addensata è stato presto messo da parte. Se la storia del suo fortuito ritrovamento fosse autentica, ci troveremmo di fronte a una Madonna abbandonata due volte.

Oggi l’immagine sacra originale versa in uno stato di forte degrado reso ancora più grave da un maldestro tentativo di restauro che ne ha compromesso pesantemente la leggibilità. Ciononostante tenteremo di farne un’analisi iconografica.
Il già citato santino descrive il quadro come «un dipinto su lastra di zinco di una Madonna col Bambino e un frate genuflesso». In realtà crediamo di poter asserire con una certa sicurezza che l’opera rappresenti la celebre apparizione della Vergine a San Francesco d’Assisi durante la quale, secondo la tradizione, Maria avrebbe suggerito al poverello di chiedere l’indulgenza plenaria per quanti fossero andati pellegrini alla Porziuncola nella notte tra l’1 e il 2 agosto di ogni anno (il privilegio, noto come “perdono d’Assisi” sarebbe poi stato esteso a tutte le chiese parrocchiali).
Un discorso a parte va fatto intorno al modello iconografico con cui è stata rappresentata la Madonna: adagiata sul fianco su un letto di nubi, con in braccio il bambino e il velo del capo sollevato dal vento. C’è un filo sottile che lega questo quadro a uno dei massimi centri di produzione artistica in Calabria tra Sette e Ottocento: Serra San Bruno.


Qui Vincenzo Scrivo realizzava a fine Settecento due statue raffiguranti la Madonna delle Grazie, una per la chiesa di Mongiana e l’altra per Zangarona, nei pressi di Lamezia Terme. In entrambe le opere la Vergine è raffigurata proprio seduta su un fianco con in braccio il Bambino. Ambedue sono caratterizzate da uno svolazzo del fazzoletto che vela il capo. Il modello iconografico ideato da Scrivo verrà utilizzato più tardi, sempre sulle Serre, da un altro scultore serrese, Raffaele Regio, per la Madonna del Buon Consiglio di Arena ma, soprattutto, da un ignoto scultore che realizza la Madonna delle Grazie di Nicastro conosciuta dai nicastresi come “Madonna del Timpone”.


La presenza nell’area del nicastrese di due statue simili intagliate negli anni immediatamente precedenti a quelli di realizzazione del dipinto di Soveria lascia immaginare come quel tipico modello iconografico abbia avuto nel corso dell’Ottocento una certa popolarità tanto da poter agevolmente essere replicato pittoricamente dall’autore del nostro quadro proveniente con ogni probabilità dalla zona della Piana Lametina o del suo hinterland.
Partendo dalla forma del dipinto e dal materiale in cui è stato realizzato possiamo infine provare a formulare alcune ipotesi sulla destinazione originaria che, a parere di chi scrive, doveva essere una edicoletta posta su una qualche parete. Il fatto che sia stata scelta la lamiera come supporto per lo strato pittorico indica senz’altro che il quadro era stato pensato per l’esterno (altrimenti si sarebbe optato per la tela o al massimo per il legno), in più la forma ad arco e le piccole dimensioni ricordano proprio quelle tipiche edicolette che decorano le facciate di molte case in Calabria. Che la nostra Madonnina sia stata asportata da qualche casa da demolire o da ristrutturare? Non possiamo saperlo. Quello che però è certo è che questo quadro, sebbene non di particolare valore artistico, meriterebbe un’attenzione e una cura maggiori per via dell’importanza storica e documentale che riveste.
Per concludere…
Come si è potuto vedere, dietro la micro-storia di questa devozione si celano vicende che si intrecciano con la storia regionale e finanche con quella nazionale. Abbiamo provato a dipanare i nodi di una fitta matassa senza riuscire a sbrogliarla del tutto, in assenza di fonti storiche e materiali archivistici. Ci auguriamo tuttavia di aver suscitato la curiosità di qualche giovane studioso che abbia voglia (magari per una tesi di laurea) di seguire queste piste o (perché no?) di individuarne di nuove.
Un’ultima annotazione: innumerevoli luoghi di culto si fondano su tradizioni inventate o manipolate. Ciò tuttavia non rende meno autentica la devozione dei fedeli che vi accorrono. Lo stesso vale per la Madonna degli Abbandonati la cui festa è probabilmente la più sentita a Soveria Mannelli e a parere di chi scrive anche la più bella.
Antonio Cavallaro