Più volte ci è capitato, in questi mesi di pandemia, rimbalzando tra un lockdown e l’altro e dovendo “giocare” per forza ai colori, di sottolineare come dal Sud, dalla Calabria e dal nostro comprensorio (volendo restringere il campo) si sono fatti notare per preparazione, bravura e umanità molti medici, operatori sanitari e professionisti impegnati nella lotta al covid.
Stavolta ci fa piacere parlare di una giovane dottoressa, partita da Decollatura, in provincia di Catanzaro (da Adami per la precisione, una delle 4 frazioni del comune montano) alcuni anni orsono per studiare medicina a Roma; e oggi medico, specializzata in pneumologia e in prima linea nella lotta al virus proprio nella Capitale. Il suo nome è Gloria Pane e il suo lavoro quotidiano, la sua missione al servizio del prossimo, la svolge al policlinico di Tor Vergata.
Tenendo fede alla nostra linea editoriale che premia con la giusta attenzione, o almeno cerca di farlo al massimo, le cose buone e le eccellenze del nostro territorio, l’abbiamo intervistata.
Gloria, la prima cosa che mi viene di domandarti è: quanto è difficile lavorare lontano dal luogo natio e, per di più, in una situazione emergenziale come questa?
“Mai avrei immaginato che un giorno mi sarei imbattuta in una pandemia, è stato molto duro per tutti abituarsi a questa nuova “normalità” e non nascondo che è stato ancora più difficile ritrovarsi a lavorare lontano dalla tua terra e dai tuoi affetti più cari. Per quanto riguarda l’emergenza, all’inizio era quasi impossibile riuscire a superare le difficoltà che sembravano interminabili, oggi ci siamo abituati a gestire ogni imprevisto e riusciamo ad assistere tutti i malati che arrivano, che sono ancora tanti”.
Abbiamo ascoltato e visto tante testimonianze di medici, infermieri, operatori sanitari a contatto con malati di covid o, comunque, con casi estremi nel corso della pandemia, ma nel tuo cuore cosa stai provando e quanto pesa, a volte, non poter aiutare e sostenere i pazienti come si dovrebbe.
“La cura della persona dovrebbe sempre porre attenzione alla globalità dell’assistenza fornita, i nostri malati covid sono abituati a vederci bardati dietro tute protettive che ci fanno apparire goffi ed è spesso difficile garantire un’empatia che li faccia sentire più tranquilli. Nei casi più gravi in cui i pazienti necessitano di un supporto ventilatorio tramite un casco, che si posiziona attorno al collo e circonda l’intera testa, diventa ancora più difficile trasmettere tranquillità e cancellare la paura di non farcela. I nostri occhi, i nostri gesti, le nostre parole diventano pertanto parte della terapia e quando non si riesce ad infondere la giusta fiducia in una persona che sta soffrendo, che dipende da te operatore sanitario, diventa frustrante. Ho però la fortuna di lavorare con un gruppo di colleghi, medici ed infermieri, che riesce sempre a garantire il supporto giusto per andare avanti fin quando non si risolve ogni criticità”.
Prestando servizio a Roma sicuramente è più frequente incontrare anche pazienti famosi; non sempre però capita che poi chi li cura venga ringraziato personalmente e pubblicamente. A te è capitato con un musicista molto importante, ci vuoi raccontare questa bella storia ricca di umanità e generosità?
“Fa sicuramente piacere ricevere ringraziamenti nel momento in cui un paziente rientra a casa guarito, non nascondo che è sempre commovente il momento in cui viene dimessa una persona che avrebbe potuto perdere la vita. Fa ancora più piacere se a porgere i ringraziamenti è un professionista di fama mondiale, ma nel rapporto medico-paziente c’è di base un’umanità universale che rende essenziale proteggere la vulnerabilità di chi sta male, indipendentemente da chi esso sia al di fuori della malattia. Io amo il mio lavoro è il mio lavoro è un po’ speciale per questo: tendere la mano e mettere a disposizione la propria preparazione per aiutare chi soffre senza mai chiedere niente in cambio”.
Per citare un famoso film di Nanni Moretti, quando e se è possibile vivere un momento di “caos calmo” in una situazione abnorme e travolgente come questa pandemia?
“Ogni giorno sentiamo telefonicamente i parenti dei pazienti malati per informarli sullo stato di salute dei propri cari. Fargli sapere se sono tranquilli, se hanno sorriso, se stanno reagendo bene alle terapie, attutisce le loro preoccupazioni e alleggerisce il loro “caos”. La “calma” pertanto si raggiunge con piccoli gesti e piccoli obiettivi, non si può cancellare tutto il problema ma si può affrontare se non ci dimentichiamo che c’è sempre qualche piccolo passo da fare che può portarci avanti e farci stare meglio. Come diceva Martin Luther King “Fate il primo passo con fiducia. Non è necessario vedere tutta la scala, basta salire il primo gradino”.
Alessandro Cosentini è giornalista pubblicista dal 2001.
Dal 2003 ha collaborato per varie testate televisive, radiofoniche e quotidiani regionali, occupandosi principalmente di cronaca e sport.
Attualmente la sua attività giornalistica si svolge soprattutto sul web.