La rete televisiva LaC sta sempre più dimostrando di essere una delle più professionali e interessanti della Calabria e forse di tutt’Italia. Con una serie di format molti dei quali originali e comunque sempre realizzati con una grande attenzione alla forma e al contenuto, si sta rivelando una preziosa fonte di informazione e cultura, ma anche di intrattenimento di qualità, per i calabresi.
Tra i tanti programmi, spicca “LaC Storie – le tradizioni culturali, religiose e popolari della Calabria più autentica”, a cura del bravo Saverio Caracciolo, in cui si parte da un personaggio o da un luogo o da entrambi per raccontare, appunto, una storia che rivela via via degli sviluppi sempre interessanti e spesso sorprendenti. L’ultima puntata andata in onda, di oltre duecento già in archivio, è quella che ha riguardato il fotografo Antonio Renda e la sua “Fototeca della Calabria”. Una puntata cui è stato dato per titolo “Obiettivo filosofico”.
Sì, perché è Antonio stesso che dichiara candidamente di aver frequentato la facoltà di Filosofia all’Unical e di aver dato 18 esami su 19. L’ultimo no, mai! Lasciando così incompiuto il suo corso di studi. Un percorso che comunque è stato fondamentale per lui e per la sua ricerca personale che al momento conta più di trent’anni di carriera e un archivio fotografico contenente oltre un milione di scatti. Per fare il fotografo, infatti, gli è stata molto più utile quella cultura filosofica e soprattutto antropologica conquistata nelle aule universitarie, guidato da personaggi immensi come Vito Teti e Luigi Lombardi Satriani, che la tecnica fotografica in sé, che ha studiato ed è riuscito ad acquisire rapidamente da autodidatta.
Durante la sua lunga confessione, quasi estorta, perché Antonio preferisce sicuramente esprimersi con le immagini piuttosto che le parole, dichiara di non avere mai amato il brutto e di volerlo sempre escludere dalle sue inquadrature, forse anche per esorcizzare quell’«eccesso di brutto che c’è a volte nel pensiero delle persone». E ci regala perle di saggezza come quando dice che per lui «la passione per la fotografia è un metodo per scoprire la realtà e per indagarla, uno strumento che ti costringe a guardare il mondo per esclusione» o elogia i grandi intellettuali calabresi e soprattutto Corrado Alvaro «che è stato una luce, e nessuno come lui è riuscito a capire l’anima della Calabria e come valorizzarla».
Poi presenta una parte rappresentativa dei suoi lavori, soprattutto le mostre e gli innumerevoli volumi di carta che, amando i libri e circondandosi di questi, sono le opere a cui si percepisce che tiene di più.
Credo che Antonio, con al seguito la sua macchina fotografica, non abbia trascurato di osservare e se del caso fotografare neppure un palmo della Calabria, che non esita a definire il suo soggetto privilegiato. Continuerà a farlo, anche in un mondo in cui, con uno smartphone in mano, ognuno di noi può illudersi di essere un fotografo. Ma basta guardare le sue opere per capire che la fotografia è altra cosa rispetto alle migliaia di foto pubblicate quotidianamente sui social o che risiedono pressoché inutilmente nelle memorie dei nostri telefonini intelligenti.
Raffaele Cardamone