Carissimo don Roberto,
la Chiesa di Cristo che è in Soveria ti accoglie con gioia e benedice il Signore perché, ancora una volta, le dona un pastore che possa confermarla nella fede e svelarle il volto misericordioso di Dio.
I cattolici europei, ma più specificatamente italiani, forse non hanno ancora compreso a pieno il velocissimo processo di secolarizzazione che sta investendo la nostra società. Per tale ragione la presenza stabile del parroco in una comunità continua ad essere considerata una cosa ovvia, un elemento del “paesaggio urbano”. Pochi sanno che le cose non stanno affatto in questo modo e che ciò che oggi viene considerato scontato, domani potrebbe non esserlo più. Per tale ragione la tua presenza in mezzo a noi, caro don Roberto, non deve essere considerata quasi un diritto, ma un dono prezioso e, come tale, va vissuto con un atteggiamento di profonda gratitudine nei confronti del “Pastore Grande delle Pecore” (Eb 13,20) e della sua sollecitudine nei confronti del suo popolo sparso per il mondo.
Non saprei spiegare in maniera razionale il motivo ma, appena mi sono messo a riflettere sui possibili contenuti di questo breve scritto di benvenuto, ha cominciato a ronzarmi in testa il famoso “Discorso della luna” del santo papa Giovanni XXIII.
Era la sera dell’11 ottobre del 1962. Si era appena conclusa la giornata di apertura del Concilio Vaticano II, l’evento che avrebbe cambiato per sempre la Storia della Chiesa. Papa Giovanni, affaticato dalla lunga giornata cede alla tentazione di salutare e benedire la folla festante in Piazza San Pietro. È curioso come in un momento così solenne il Pontefice non si preoccupi di far comprendere ai fedeli l’importanza di quel concilio. Sceglie invece di parlare ai cuori e sposta l’attenzione da San Pietro, cuore della Cristianità, ai piccoli e sofferenti, cuore vero della Chiesa di Cristo. Sono parole cariche di forza profetica che riescono ancora oggi a commuovere e a far riflettere, parole che, stasera, pensando a te, don Roberto, e al tuo ministero in mezzo a noi, risuonano forte nella mia mente.
Prendo solo qualche frase.
Continuiamo (…) a volerci bene, a volerci bene così, a volerci bene così, guardandoci così nell’incontro, cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte quello – se c’è – che può crearci difficoltà.
Caro don Roberto che il tuo ministero in mezzo a noi sia segno di unità, quell’unità che non annulla le differenze ma che nel nome di Cristo riesce ad andare oltre le differenze.
La differenza di vedute è ricchezza, l’omologazione produce invece povertà intellettuale e spirituale. Per un cristiano l’eterogeneità delle opinioni è frutto della fantasia dello Spirito perché il cristiano sa che accogliendo e rispettando l’altro tutto finisce per concorrere al bene di coloro che amano Dio (Rm 8,28). Cristo è uno, per dirla con Cirillo d’Alessandria. E segno eloquente dell’unità dei credenti è quella tunica senza cuciture che ha rivestito il corpo del Signore e che troppo spesso, anche qui, nella nostra comunità, abbiamo cercato di lacerare tirandola troppo dalla nostra parte.
Tornando a casa, troverete i bambini; date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del Papa”.
Che i bambini sono il nostro futuro, lo diciamo talmente tante volte che alla fine è diventata una frase fatta, una di quelle che riteniamo certe senza crederci realmente, come “non ci sono più le mezze stagioni”. È indubbiamente vero – non fosse altro per ragioni anagrafiche – che i bambini sono il futuro eppure quel futuro che si troveranno a vivere sarà composto dai brandelli, dai rimasugli che il nostro io ipertrofico avrà lasciato loro a disposizione. Questa è una società che ama la giovinezza, ma come dice Armando Matteo, è una società in cui tutti si sentono eternamente giovani, lasciando da parte i giovani veri.
Gesù ci ha insegnato che i bambini devono essere al centro della nostra Chiesa. «Se non non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). Questa frase è stata spesso fraintesa come un elogio dell’ingenuità, quanta saggezza invece in queste parole del Maestro! Caro don Roberto abbi a cuore i nostri figli, fai una carezza ai nostri bambini!
L’azione delle parrocchie nei riguardi dei bambini risente ancora troppo delle vecchie logiche pedagogiche per le quali i fanciulli sono vasi vuoti da riempire, di catechismi da digerire più o meno a memoria, di nozioni da apprendere con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Come hai avuto modo di scrivere nel tuo blog, presentandoti alla nostra comunità, pur essendo il presbitero (l’anziano) sei in realtà un giovane, un ragazzo del nostro tempo in cui Cristo ha acceso una scintilla della sua luce. Sii, in forza della tua giovinezza, una fiaccola per i nostri figli, un esempio da imitare, un fratello, un amico e, se puoi, condividi insieme a noi genitori, giovani e meno giovani, il difficile compito dell’educazione cristiana dei figli.
[Tornando a casa] troverete qualche lacrima da asciugare. Fate qualcosa, dite una parola buona. Il Papa è con noi specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza.
“La parola buona”… quante volte noi cristiani, uomini e donne esperti in questioni “di Chiesa” abbiamo sempre a portata di mano la parola giusta da dire a chi soffre! Una parola che non scaturisce dal cuore ma dalla presunzione di insegnare a chi piange come debba essere vissuto il suo dolore. Quante volte invece c’è bisogno di una parola “buona”, di qualcuno che asciughi le lacrime e che sia con noi nelle ore della tristezza e dell’amarezza!
Caro don Roberto, anche qui troverai delle lacrime da asciugare! Come ha ricordato qualche giorno fa papa Francesco i poveri e i sofferenti sono al centro della Chiesa. Il salmo 112 ci ricorda che il Signore solleva dall’immondizia il povero per ricoprirlo di onore, così aiutaci don Roberto a riscoprire il volto di una chiesa ricca d’amore con chi soffre, adorna solo del velo della Misericordia di Dio.
Facendo un salto di oltre 50 anni concludo questo breve scritto con le parole di un altro grande papa, Francesco, pronunciate durante l’omelia allo Stadio Dall’Ara di Bologna del 1 ottobre:
Nel cammino della Chiesa giunge spesso la domanda: dove andare, come andare avanti? Vorrei lasciarvi, a conclusione di questa giornata, tre punti di riferimento, tre “P”. La prima è la Parola, che è la bussola per camminare umili, per non perdere la strada di Dio e cadere nella mondanità. La seconda è il Pane, il Pane eucaristico, perché dall’Eucaristia tutto comincia. È nell’Eucaristia che si incontra la Chiesa: non nelle chiacchiere e nelle cronache, ma qui, nel Corpo di Cristo condiviso da gente peccatrice e bisognosa, che però si sente amata e allora desidera amare. (.…) Infine, la terza P: i poveri. Ancora oggi purtroppo tante persone mancano del necessario. Ma ci sono anche tanti poveri di affetto, persone sole, e poveri di Dio (…) «Se condividiamo il pane del cielo, come non condivideremo quello terrestre?». Ci farà bene ricordarlo sempre. La Parola, il Pane, i poveri: chiediamo la grazia di non dimenticare mai questi alimenti-base, che sostengono il nostro cammino.
A te don Roberto il compito di tracciare il cammino, di condurre questo gregge di Soveria che il Signore ti ha affidato, verso le sorgenti d’acqua, a noi quello di seguirti con amore e umiltà. A te e a noi buon cammino!
di Antonio Cavallaro