Sono rimasti solo i locali, spesso sbarrati e a volte ancora arredati come una volta, in molti paesi dell’entroterra della Calabria, le botteghe o i negozi erano di riferimento per le famiglie e centro di commercio per i bisogni alimentari ed anche dei vari beni non solo di prima necessità per l’intera popolazione. Ricordo da bambino un piccolo locale in Sicilia, al paese d’origine di mia madre, che la gente chiamava: “A’ Putìa” (in Calabria veniva chiamata “A’ Putìca”).
La Putìa era per il paese e per la gente del posto il minimarket di allora.
Era, gestita da una signora che si chiamava Teresa, e se oggi, chiusa ormai da tanti anni, potesse parlare racconterebbe tante storie del vissuto sociale di un piccolo paese dell’Italia meridionale degli anni ‘60.
Alla Putìa si comprava il pane, la pasta, il sale,lo zucchero, la frutta e i detersivi, le cui somme da pagare venivano spesso annotate su una “libretta”. Si passava un po’ di tempo per raccontarsi le vicende della propria vita.
Per i bambini e i ragazzini era l’antica “paninoteca”, dove si confezionavano saporiti panini con la mortadella, da gustare più col naso che con la bocca.
Alla Putìa, spesso si approdava, stanchi e sudati dopo ore di gioco con le ginocchia sbucciate, per prendere una frizzante bibita al gusto di limone dal nome “gazosa”, poi in tempi meno recenti anche al gusto di caffè, proveniente dalla Calabria, e meglio conosciuta come “Brasilena”.
Lo stare insieme, attorno al gioco, era un appuntamento atteso per un anno da cugini, parenti e compagni che si incontravano soltanto per le vacanze scolastiche.
La Putìa era il punto di ristoro di un periodo fatto da giornate passate quasi tutte per le vie del paese, durante il quale si perdeva il senso del tempo, subentrando quello della “gioia”.
La mattina passavano dalla Putìa, prima di andare a lavorare, quelli che una volta si chiamavano “muratori ”, gli artigiani dell’edilizia e i contadini che di mattina col fresco si avviavano verso gli orti circondati da noccioleti e mandorleti, per prendere una bottiglia di birra, compagna di pranzi solitari.
La Putìa è stata il primo posto pubblico dove telefonare con l’avvento del “telefono a gettoni”,o dove aspettare, all’ora concordata, un’attesa chiamata.
Si telefonava da dentro una minuscola cabina, allocata all’interno, dove entrava a malapena una sola persona, impugnando la “cornetta”, e girando i numeri col dito fin quando non si prendeva la linea.
A quei tempi la parola “claustrofobia” non era molto conosciuta.
Quante storie d’amore potrebbe raccontare quella cabina, quante ansie, quante attese, quante gioie e delusioni.
Dalla Putìa passavano tutti, chi per una cosa chi per un’altra, era un punto d’incontro al chiuso del paese, oggi un luogo della memoria dei paesi italiani.
Un locale chiuso, abbandonato, dimenticato, ma che appartiene alla nostra memoria.
Un luogo da custodire, almeno nei ricordi del cuore.
di Luigi Guzzo