di Angelo Falbo –
Bravi. A tutti i ragazzi e a tutte le ragazze. Abbiamo assistito ad una impegnativa rappresentazione teatrale nella quale è stata riscattata appieno la funzione della Scuola. In una giornata segnata da notizie di cronaca che avevano seminato sfiducia verso l’istituzione scolastica per le brutte vicende accadute a danno di bambini del territorio lametino, lo spettacolo da voi offerto nella palestra dell’edificio sede dell’ex IC “Gioacchino da Fiore” di Carlopoli ha fatto vivere, a quanti eravamo presenti, la vera Scuola, con circa due ore di intense emozioni.
Guidati dalla collaudata maestria dell’autore, prof. Corrado Plastino, e del gruppo di regia a cui, oltre a lui, hanno preso parte diretta le prof.sse Pasqualina Arcuri e Cinzia Fiorenza, seguiti lodevolmente da genitori e nonni, collaborati dal personale della scuola, dalla sig.ra Sarina Chiodo, acconciatrice, e dai due valenti accompagnatori preposti alle luci, alle musiche ed allo schermo, Vincenzo e Danilo Perri, i quarantotto alunni dell‘IC “Rodari” di Soveria Mannelli – Carlopoli hanno rappresentato la “bella e tragica” vicenda della famiglia Cervi.
Bella per la nobiltà dei sentimenti e degli ideali vissuti dai protagonisti, oltre che per la grande dignità dei loro comportamenti, fino a morire senza cedere alle torture a cui sono stati costretti perché rivelassero le altre famiglie e i compagni oppositori del fascismo. Tragica per l’atrocità, per l’inganno e per l’infamia dei fascisti spintisi ad odiare quei sette giovani fino a fucilarli, burlandosi anche del padre. La vicenda messa in scena è una delle più esemplari testimonianze della lotta partigiana.
Il titolo “Le stelle dell’Orsa”, ha chiaro riferimento ai “sette fratelli”, quanto le sette stelle, quanto “sette rami” dell’olmo, albero evocativo ed emblematico della vita-cultura contadina padana (ricordiamoci del film “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi), quanto le sette “virtù teologali-cardinali”. Quest’ultimo riferimento l’ho aggiunto in sintonia alla storia della famiglia Cervi: contadini, cattolici e socialisti.
La strutturazione della rappresentazione si sviluppa su più piani: 1) L’efficace ausilio di voci interne ed esterne al palcoscenico. 2) Il canovaccio ha previsto un puntuale apporto di luci, musiche, canzoni e schermo su cui far scorrere i testi delle due splendide canzoni d’apertura e di chiusura, poche scene, poche date indicative del quadro storico di contesto entro cui si è svolta la vicenda, e, infine, l’emozionante scorrimento delle foto della madre, del padre e dei sette fratelli fucilati. L’accompagnamento delle musiche e delle luci ha sottolineato magistralmente l’epos delle diverse scene. 3) Molto riuscita la presenza del gruppo di ragazzi, di papà e mamma Cervi, quali voci dialoganti situati tra gli spettatori. 4) La classe: l’avvio è apparso un pò appesantito dalla “trovata”, sicuramente geniale, ma eccessivamente lunga nella bonaria concitazione degli alunni che imputano al professore l’insistenza di volere tematiche di drammi storici e di umane sofferenze. In un primo momento la tecnica può rischiare di essere anche considerata estranea, ma l’apparire della professoressa che vuole svolgere la lezione di Storia, consente anche ai più digiuni di sceneggiature teatrali, di apprezzare la qualità connettiva con la quale i ragazzi della “classe” hanno sostenuto tutte le parti. 5) Ci sono poi le tre bravissime ragazze, protagoniste di due eccezionali canzoni di accompagnamento: la straordinaria poesia cantata “Il vecchio e il bambino” di Francesco Guccini, e il dolente canto de “La pianura dei sette fratelli” dei Modena City Ramblers. Bella scelta. Con un affaccio, in fase finale, del testo di “Viva l’Italia” di De Gregori, secondo me, il passaggio conclusivo della fondazione della Repubblica “grazie anche a loro” e a tutti i patrioti e ai partigiani come loro sette, sarebbe potuto risultare ancor meglio esaltato.
“I sette fratelli Cervi“? Grazie anche a loro.
Si, la vicenda de “I miei sette figli” raccontata dal padre Alcide da corpo alla nostra storia recente. E’ grazie a loro, anche a loro, assieme alle migliaia e migliaia di altri combattenti partigiani che seppero scegliere da che parte stare, opponendosi alle nefandezze nazifasciste, che, la mia e le generazioni successive, ci siamo potuti trovare in una Patria libera, in uno Stato a forma istituzionale repubblicana, fondato sulla separazione dei poteri, di cultura illuminista, entro principi costituzionali di eguaglianza, giustizia, libertà e pace, da attuare e da vigilare sempre.
La rappresentazione ha saputo mettere in evidenza i caratteri costitutivi della famiglia Cervi: operosità, onestà, umiltà, semplicità di sentimenti e di comportamenti, solidarietà, virtù civiche di impegno politico per il riscatto umano e l’affrancamento dalle angherie e dalle prepotenze fasciste. Capaci di passare, con lunghe giornate di fatiche che “spezzavano le ossa”, dalla mezzadria al bracciantato, al possedimento di un “podere proprio” su cui il sudore versato poteva dare frutti, magari da condividere o scambiare con le famiglie amiche in bisogno, ma non più da dividere con nessun padrone! La lotta per la terra!
Pronti ad aiutare gli altri a saper far produrre meglio le coltivazioni sui propri poderi, imparando a regimentare le acque, a scegliere le sementi, ad alternare le colture, a fare allevare al meglio le “bestie”. Andando a scuola di sera. Costituendo una biblioteca popolare, luogo di emancipazione e di elaborazione politica.
Perché loro avevano studiato. Erano contadini istruiti. L’applicazione di quanto appreso con lo studio li avevano resi di riferimento per tutte le altre famiglie contadine degli agri dintorno.
Una delle scene più significative, ai fini del messaggio dell’intera opera, è stata sicuramente quella, di snodo,nella quale la famiglia dei vicini si è recata a casa Cervi per chiedere aiuto. Un doppio aiuto:
- quello sociale economico , perché si ritrovava i condizione di bisogno
- quello, ancor più insistito, di natura sociale e politica, di essere difesa dalle prepotenze dei fascisti che si recavano irruentemente per saccheggiare la loro casa di beni e delle poche provviste riuscite a salvare durante la brutta annata.
Questa seconda richiesta è quella che racchiude e indica la missione patriottica dei sette fratelli. I vicini sanno che i fratelli Cervi li possono aiutare a difendersi. Sanno che capiscono come si deve fare, come trovarsi uniti contro le nefandezze dei “ducetti” locali e delle loro bande armate, votate alla sopraffazione. Le mogli e le fidanzate, sapientemente doloranti, superando le umane paure, seppero sostenerli. I loro trascorsi affettivi, vissuti nella massima interiorizzazione del sistema valoriale familiare, patriarcale del tempo, le avevano ben predisposte a sostenere le scelte dei loro uomini. Anche qui, la bravura nel testo e nella sceneggiatura mette in risalto i caratteri vitali della cultura contadina della pianura emiliano-romagnola, la quale si esprimeva con viva intensità di sentimenti, sia nella fatica sui campi, sia anche nella religiosità dei semplici gesti e nella festosità dei momenti di incontro sociale, rappresentato, al massimo grado, dal “ballo”.
Straordinariamente elevate nella rappresentazione sono le figure della madre e del padre: ti prendono con un’empatia particolarmente vibrante in ogni apparizione. I silenziosi gesti della madre, si pensi a quando si alza e va ad accogliere in famiglia quelle che sarebbero dovute divenire due nuove nuore, sono altrettanto belli ed eloquenti quanto le espressioni e i toni di duro e doloroso ammonimento del padre Alcide. Entrambi sono stati di un tale grande esempio di dignità che ogni loro cosa detta o gesticolata, nei silenzi o nelle grida di disperato e straziante dolore di genitori che hanno dovuto apprendere la notizia di fucilazione dei loro sette figli, ti fa venire i brividi. A me poi è risultato particolarmente toccante la situazione di essermi venuto a trovare accanto, alla mia sinistra, a papà Alcide e a mamma Genoeffa, che, la disposizione della sceneggiatura ha voluto seduti tra il pubblico.
Toccante perché?
Quando papà Alcide per tre o quattro volte, rivolto al pubblico, ha chiesto se c’era qualcuno che conoscesse la vicenda della sua famiglia e la tragica fine dei suoi sette Figli emotivamente stavo per rispondere: Si, conosco la storia della sua famiglia.
Conoscevo infatti la storia dei fratelli Cervi. Tra i tredici e i quattordici anni, accanto a Zanna Bianca, a Moby Dick e a vari fumetti ho letto la storia dei sette fratelli Cervi. Le pagine dell’allora quotidiano del PCI, l’Unità, in prossimità del 25 Aprile, pubblicava inserti con le vicende della Resistenza. Tra le vicende, una di quelle che mi presero di più fu proprio la fucilazione dei fratelli Cervi. E, pur nella consapevolezza della necessità delle azioni partigiane, non riuscivo a capacitarmi di quanto e come fosse stata grande la sofferenza dei due genitori, quella delle mogli e delle fidanzate rimaste senza sposi.
Fu una lettura importante per la crescita della mia consapevolezza civica. Più in avanti, quando da docente, in una seduta di Consiglio di Classe, proposi l’adozione del libro “I miei sette figli”, suscitai la sorpresa dei colleghi. Era un testo che raccontava una storia sconosciuta. Fu adottato come testo di narrativa-lettura. Fu una bella esperienza didattica di approfondimento storico. L’altra sera, a trovarmeli accanto i due genitori, sia pure nelle vesti di due ragazzi bravissimi interpreti, vi assicuro, ho rievocato i moti di emozione, rivivendo le adolescenziali pulsazioni contro le persone prepotenti e sopraffattrici.
Sentendo rinnovate le motivazioni a restare dalla parte dei principi costituzionali. Avvertendo l’urgenza di voler e saper onorare il sacrificio dei fratelli Cervi, in questi tempi, in cui una docente viene sospesa. La vicenda della sospensione segnala l’avvento di una retriva visione delle funzioni dell’insegnamento, con un pericoloso processo involutivo di tipo censorio. La docente è stata sospesa per aver condotto un encomiabile lavoro didattico di ricerca finalizzata a formare coscienze critiche. Va solo lodata.
Sapere raccogliere il messaggio gridato da papà Alcide. Dopo averci detto che la moglie non ce l’aveva fatta a sopravvivere di più al dolore patito, e che Lui aveva resistito per “raccontare” la patriottica coraggiosa scelta dei figlie a farli continuare a vivere nella memoria e nelle testimonianze future, ci ha dato una consegna: sta a voi ricordare il loro sacrificio e essere impegnati affinché il loro sacrifico non diventi vano.
Che vuol dire: difendete la Patria attuando la Costituzione che ha nei suoi articoli tutti i valori e gli ideali per cui si sono sacrificati i fratelli Cervi e tutti coloro che hanno combattuto contro i nazifascisti.
La rappresentazione teatrale alla quale abbiamo assistito ci ha consegnato questo messaggio attraverso l’appello- ammonimento di Alcide, divenendo così, nello spettacolo, una ottima lezione di Storia viva, anzi di “Historia magistra vitae”.
Purché ci siano discenti-cittadini disponibili ad apprendere.
L’impegno dei ragazzi e dei loro docenti, molto applaudito dai presenti, ci ha detto che si può.