Non secondaria per Petronà appare la questione linguistica, anche alla luce, come accennavo, di vedersi collocata, secondo i promotori dell’Associazione ’u ĥocularu all’interno dell’area dialettale del Reventino, “con lo scopo di valorizzare, promuovere ed approfondire il legame dei comuni calabresi, che “parlano” il dialetto della Sila, con la propria “lingua” e cultura originarie”.
Sempre a parere di Scalzi, «Petronà […] è una isola linguistica ed etnica nell’ampia area dell’Alto Crotonese, ha una “sua” cultura, nel senso più ampio della parola, notevolmente più sgombra di residui medievali rispetto ai paesi limitrofi […] La parlata petronese, inconfondibilmente silana, rimasta incontaminata, anche per via del secolare isolamento geografico, e fedele alle sue origini»6.
Credo che quando Scalzi parla di isola linguistica ed etnica fa riferimento proprio a quanto accennavo sopra ossia che la lingua di Petronà pur non appartenendo geograficamente all’area del Reventino per il suo dialetto si distingue dagli altri paesi del territorio nel quale si colloca, ossia quello dell’Alto Crotonese. Credo, inoltre, che lo stesso fenomeno lo rappresenti Mandatoriccio, mio paese d’origine, che pur collocato nel territorio della Sila Greca, sul Basso Jonio Cosentino, circa il suo patrimonio linguistico dialettale si integra perfettamente con quello presente nell’area del Reventino. Tutto ciò è dovuto, secondo me, a motivi prettamente storici e in conseguenza del trasferimento di numerosi profughi di Scigliano, Carpanzano e Rogliano verso Savelli e Mandatoriccio scampati ai distruttivi terremoti avvenuti il primo nel 1636 ed il secondo tra la vigilia di sabato 27 e domenica 28 marzo delle Palme, del 1638.
Il profilo urbanistico della cittadina, come del resto buona parte dei paesi interni si presenta come un avviluppato ginepraio costituito da un susseguirsi di vicoli e stradine strette. Una urbanizzazione del luogo che richiama la propria genesi alle vicissitudini di una ruralità contadina e pastorale lontana nel tempo, ma sempre proiettata al proprio riscatto e al miglioramento della posizione collettiva.
Dal punto di vista temporale alcuni riferimenti storici ci informano che la Petronà che conosciamo oggi si è sviluppata intorno alla fine del XVIII secolo, mentre sul suo passato sappiamo che alcune modeste iniziali dimore, di quello che è il suo centro storico, risalgono agl’inizi dello stesso secolo nell’allora area del confinante comune di Mesoraca, feudo baronale della nobile famiglia napoletana degli Altemps, che aveva il dominio anche sui casali di Arietta, Petronà e Marcedusa, un casato proveniente dalla Germania, appartenente al ramo dei Hohenems, e che beneficiò della nobiltà in varie città italiane tra cui Roma, Bologna e Napoli dove lo troviamo presente nel patriziato napoletano con iscrizione al Seggio di Portanova e dopo l’abolizione dei Sedili sul finire del XVIII e l’inizio del XIX secolo, anche nel Libro d’Oro napoletano.
La famiglia Altemps la cui rappresentazione simbolica della linea era costituita dal motto: Ipse Dux Ipse Miles (Il capo è un soldato) e per arma: d’azzurro all’ariete rampante d’oro, fu insignita anche del titolo di duca e nel 1738 con Filippo († 1743) indossò l’abito di Malta. Tra gli ultimi titolari del feudo figura «Roberto (1687 † 1747), figlio di Giuseppe Maria (1653 † 1713), nobile romano e patrizio napoletano, duca di Gallese e barone di Mesoraca alla morte del padre, vendette i feudi di Soriano e Rocchette; nel 1718 sposò ad Aversa Filomena de Silva, figlia di Fabrizio, patrizio napoletano»7.
Oggi Petronà viene identificata come città delle castagne e dei funghi. In questo mio excursus di conoscenza di una realtà a me fino ad oggi poco nota, stimolato da questa appartenenza all’area dialettale del Reventino, ho scoperto che i suoi Santi Patroni sono San Pietro e Paolo con festa patronale il 29 giugno e che l’edificio religioso più rinomato è la chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo proprio come quella di Mandatoriccio. Credo che tutto ciò non sia solo un caso, poiché la tradizione della pietà popolare dei SS. Apostoli Pietro e Paolo proviene dai casali cosentini in particolare da Scigliano. Una tradizione che è ha accompagnato quei profughi sfuggiti al terremoto del 1638. Mi chiedo. Può essere che anche Petronà sia stata oltre che nel dialetto influenzata anche dalle tradizioni dei tanti esuli che spostandosi influenzarono il territorio di Savelli, Pallagorio, Umbriatico, Mandatoriccio e tanti altri? L’interrogativo mi pare legittimo visto che anche l’abate Sacco ci ricorda che Petronà come “casale […] fu edificato verso la fine del passato secolo da poche famiglie de’ casali di Cosenza”.
Infine, non secondarie risultano alcune tematiche da approfondire come quelle riguardanti il brigantaggio del quale Petronà credo non fu immune, oppure la pietà popolare con le sue tradizioni, l’emigrazione, elementi comuni, se pure con diverse sfaccettature, a tutti i paesi della Calabria e quindi anche del territorio del Reventino a cui ho cercato di fare riferimento, ma anche la monumentalità, le risorse archeologiche eventualmente presenti nel territorio di competenza, le tradizioni che come dicevo sopra possono avere tratti e percorsi comuni.
Lo scopo del presente intervento è soprattutto quello di stimolare quanti fanno parte del gruppo dell’area del Reventino affinché intervenendo sul portale con i loro commenti sui diversi temi proposti possono contribuire ad arricchire le informazioni su Petronà in modo da poter ricostruire una storia a più mani partendo soprattutto dal prezioso contributo del prof. Fiore Scalzi rintracciato sul sito del comune di Petronà, che ho potuto utilizzare come guida e che per tale motivo intendo ringraziarlo pubblicamente.
di Franco Emilio Carlino, Socio Corrispondente dell’Accademia Cosentina
Bibliografia
6 Cfr. F. SCALZI, Petronà tra cronaca e storia, in https://www.comune.petrona.cz.it/index.php?action=index&p=10223.
7 Cfr. http://www.nobili-napoletani.it/Altemps.htm 11/, Pdf, pp. 1-3. [Note: 1) – Libro d’Oro napoletano – Archivio di Stato di Napoli – Sezione Diplomatica. 2) – Il cognome preso da un castello sovrastante il borgo di Ems o Emps, tradotto in Alta Ems, assunse poi la forma definitiva di Altemps].