Continua a far parlare di sé il Ponte Romano sul Savuto, una delle opere più straordinarie dell’ingegneria stradale antica, che da oltre duemila anni si erge maestoso nel cuore della Calabria, tra i territori di Altilia e Scigliano.
Ancora una volta, il mondo accademico torna a interessarsi di questo capolavoro, e questa volta la platea è internazionale: al monumento infatti è stata dedicata una sessione durante il 2025 IMEKO TC-26 International Conference on Metrology for Archaeology and Cultural Heritage, la prestigiosa conferenza organizzata dalla IMEKO (International Measurement Confederation) e dal suo Technical Committee 26 (TC-26), svoltasi presso l’Università di Bergamo dal 15 al 17 ottobre 2025.
Si tratta di un importante incontro interdisciplinare che unisce metrologia, la scienza delle misure, e studi applicati all’archeologia e al patrimonio culturale. Anche in questa occasione, con una sessione dedicata al nostro Ponte Romano, si è riconosciuto il suo valore storico e tecnico.

L’evento offre un’opportunità unica per far dialogare esperti di misurazione e strumentazione con archeologi, conservatori, storici dell’arte e ricercatori del patrimonio culturale, offrendo la possibilità di presentare ricerche, strumenti innovativi, casi di studio e di creare relazioni scientifiche internazionali.
La scienza moderna è riuscita a “far parlare” questa struttura millenaria, rivelandone la vitalità nascosta. Un gruppo di ricerca dell’Università di Salerno, guidato dal prof. Fabrizio Barone con la partecipazione del prof. Marco Casazza e degli architetti Armando Di Maio e Salvatore Antonio Fornaro, ha condotto un’indagine innovativa in collaborazione con la Soprintendenza di Cosenza e con i Comuni di Altilia e Scigliano.

Il professor Barone ha gentilmente fatto pervenire in redazione de ilReventino un articolo riassuntivo del contributo presentato a Bergamo, dedicato al Ponte Romano di Scigliano, un tema di cui abbiamo già avuto modo di occuparci in occasione della presentazione dei risultati delle ricerche lo scorso anno.
Segue, di seguito, l’esposizione del professor Fabrizio Barone ed infine una nostra intervista inedita, al professor Barone, in occasione di un evento tenutosi a Scigliano.
La tecnologia che fa parlare la storia
Come la scienza moderna ha svelato il “respiro” del ponte romano sul Savuto, capolavoro d’ingegneria che da oltre duemila anni sfida il tempo nel cuore della Calabria.
Il Ponte Romano sul Savuto: duemila anni di equilibrio tra ingegno e natura
Da oltre duemila anni, il ponte romano che attraversa il fiume Savuto, nel cuore della Calabria, resiste al tempo, alle piene e ai terremoti. Le sue pietre antiche, posate dai Romani nel II secolo avanti Cristo, custodiscono una storia di ingegno, armonia e profonda connessione con la natura.
Costruito nel II secolo a.C. lungo la via Popilia, la grande strada che collegava Capua a Reggio Calabria, il ponte romano sul Savuto è una delle testimonianze più antiche e meglio conservate dell’ingegneria stradale romana. Con il suo arco principale di oltre 21 metri e un’altezza di circa 11 metri sopra il fiume, continua ancora oggi a unire i territori di Altilia e Scigliano, come faceva più di venti secoli fa.
La tecnologia che ascolta la storia
Oggi, grazie a una tecnologia che unisce scienza e sensibilità, gli studiosi sono riusciti a percepire la “vitalità” del ponte, scoprendo come esso si muove, respira e si adatta ancora al mondo che lo circonda. Valorizzare i monumenti storici, infatti, non significa solo restaurarli o proteggerli, ma comprenderli. Ogni struttura racconta qualcosa del popolo che l’ha costruita, delle sue conoscenze tecniche (téchne) e della sua visione del mondo (genius loci). Nel caso del ponte romano sul Savuto, la sfida era capire come una costruzione così antica potesse essere rimasta stabile per oltre duemila anni.
Per rispondere a questa domanda, il gruppo di Ricerca dell’Università degli Studi di Salerno, coordinato dal Prof. Fabrizio Barone, tra cui il Prof. Marco Casazza, e la collaborazione degli architetti Armando Di Maio e Salvatore Antonio Fornaro, ha svolto un’indagine teorico-sperimentale, con le autorizzazione ed il supporto della Soprintendenza di Cosenza (Dr. Ruggiero e Dr. Verbicaro) e dei Comuni di Altilia e Scigliano, rappresentati rispettivamente dai Sindaci Dr. De Rose e Ing. Pane, e la Dr.ssa Angela Nucci ed il Dr. Gabriele Morelli.

DFEM: il metodo che dà voce alle pietre
Al centro dello studio c’è un approccio innovativo: il DFEM – Dynamic Finite Element Modeling, una tecnica sviluppata dal gruppo di Fisica Applicata che combina modelli matematici (FEM) e dati reali raccolti da sensori. Il risultato è un’immagine dinamica e in tempo reale del comportamento strutturale del ponte.
Il metodo DFEM non si limita a creare una simulazione teorica: è un modello “adattivo”, capace di aggiornarsi costantemente grazie ai dati rilevati sul campo. Il ponte è stato dotato di sensori in grado di percepire vibrazioni, oscillazioni termiche e minuscole deformazioni dovute al ciclo giorno-notte. Queste informazioni, registrate e confrontate con le previsioni del modello, vengono utilizzate per perfezionare progressivamente la simulazione, offrendo così una comprensione diretta e precisa del comportamento dinamico reale della struttura.
Per queste rilevazioni sono stati impiegati sensori di altissima precisione – state-of-the-art della sensoristica meccanica – sviluppati dallo stesso Prof. Barone. La loro sensibilità è tale da percepire persino il “respiro termico” delle pietre al sorgere e al calare del sole.
Un ponte “vivo” che racconta se stesso
Le analisi condotte con il metodo DFEM hanno rivelato un comportamento sorprendentemente “vivo”. I sensori hanno registrato oscillazioni regolari e armoniche, segno di una struttura equilibrata e stabile. Ma non tutto è perfettamente simmetrico: il pilone sud mostra un movimento rotatorio anomalo, probabilmente legato a un restauro degli anni Sessanta che ha irrigidito eccessivamente una delle due estremità, con la probabile formazione di crepe interne.
Un altro elemento affascinante emerso dallo studio riguarda la massa complessiva del ponte. I dati raccolti indicano la possibile presenza di una piattaforma nascosta sotto il livello del fiume, forse un basamento che collega i piloni principali. Se confermata da future indagini archeologiche, questa scoperta potrebbe spiegare l’eccezionale stabilità del ponte nei secoli.
Il ponte al centro della ricerca internazionale
I risultati di questa indagine sono stati presentati con grande interesse dagli esperti alla 2025 IMEKO TC26 International Conference on “Metrology for Archaeology and Cultural Heritage”, svoltasi a Bergamo dal 15 al 17 ottobre 2025. Nel suo intervento, l’Arch. Armando Di Maio ha illustrato non solo i risultati ottenuti, ma anche le potenzialità del metodo DFEM come strumento capace di “dialogare con il passato” attraverso il linguaggio universale della metrologia fisica e ingegneristica.
La voce delle pietre
Lo studio sul Ponte di Annibale – così viene tradizionalmente chiamato il ponte sul Savuto – invita a riflettere su come intendiamo oggi il patrimonio culturale. Ogni dato raccolto, ogni vibrazione misurata, racconta qualcosa della conoscenza, dell’esperienza e della sensibilità degli antichi costruttori romani. La tecnologia, in questo senso, diventa un mezzo non solo per proteggere la storia, ma per avvicinarsi ad essa, per comprenderla e farla parlare di nuovo.
Le pietre del ponte, ascoltate attraverso strumenti moderni, ci restituiscono la voce di un sapere antico: un sapere fatto di intuizione, osservazione e profonda armonia con l’ambiente. Un dialogo tra passato e presente che, ancora una volta, dimostra come la scienza possa essere il tramite più autentico per custodire la memoria.


























