Una realtà che i responsabili di Rivìentu e il giornalista e scrittore Antonello Caporale ci hanno spiattellato davanti agli occhi con un j’accuse che ci coinvolge tutti, nessuno escluso!
“La Calabria dell’inedia” l’ha chiamata Caporale. Quella che si è lasciata costruire tutt’attorno centinaia e centinaia di pale eoliche senza muovere un dito e senza neppure provare a pensare che in fondo quel vento era ed è dei calabresi, mentre i profitti vanno, e andranno per molti anni ancora, nelle tasche capienti delle multinazionali di turno.
Il tema del dibattito principale della kermesse “Una Montagna di Pace”, che come lo scorso anno ha riscosso un buon successo, ma un successo che rischia di restare effimero e – peggio – ininfluente, era “Come restare? Un cammino controcorrente”, sul come e il perché restare nei nostri paesi delle aree interne, che vanno progressivamente spopolandosi e perdono ogni giorno pezzi consistenti di servizi essenziali.
Ma c’erano anche le storie positive, a dimostrare che a volte si può tentare: il movimento che governa Cinquefrondi, gli scopritori delle Valli Cupe, gli stessi protagonisti di Rivìentu, che si sforzano ogni anno, e durante l’anno, di creare occasioni di rivincita nei confronti dell’inedia.
È su questo quindi che bisogna puntare, sull’intelligenza umana, la sensibilità, l’intuizione, la creazione. Su tutto quello che un computer, un software e un braccio meccanico, per quanto preciso ed efficiente, non potranno mai fare. Ma senza illudersi che questo non costi sacrificio, ore di studio, sforzi di pensiero, per non essere “così così”. Perché non è questo il modo migliore per restare. Seduti a guardare dai tavolini del bar, non si costruisce un futuro e neppure il presente!
di Raffaele Cardamone