Così come dichiara il titolo, il presente lavoro si qualifica come “seconda parte”, in quanto è destinato ad andare ad integrare, completandolo, quell’altro dal’omonimo titolo Ulisse, naufrago nella terra dei Feaci, apparso su ilReventino del 19 gennaio 2023.
Con il precedente lavoro abbiamo cercato di dare un contributo in riferimento all’individuazione della Terra dei Feaci, che, secondo la narrazione che ne fa l’autore dell’Odissea, non può non identificarsi se non con la Calabria e, precisamente, con il suo istmo, che è il più esiguo del territorio peninsulare, racchiuso, ora come allora, in una con la sua affascinante e rassicurante montuosità, tra il mare Tirreno e il mare Ionio.
Abbiamo assistito al naufragio del Laerziade nel punto geografico della terra che, oggi, appartiene al comune di Lamezia Terme e, precisamente in quel luogo, nel quale, secondo il racconto di Omero, erano posti i lavatoi pubblici di cui si serviva anche la principessa Nausicaa.
Abbiamo anche detto della accoglienza che Nausicaa e le sue ancelle hanno riservato allo sfortunato e certamente inaspettato ospite, al quale hanno offerto ogni aiuto possibile, impegnandosi, anche, a condurlo alla reggia di re Alcinoo padre della principessa.
Rammentiamo, ancora, come l’intervento di Nausicaa sia stato determinato, sollecitato e favorito dalla dea Minerva in persona, la quale, assunte le sembianze di un’amica di Nausicaa, si era recata da quest’ultima, che si trovava ancora nelle braccia di Morfeo, e la aveva sollecitata ad andare ai lavatoi al fine di provvedere alla pulizia del proprio guardaroba, previa richiesta da rivolgere al re suo padre di farle preparare il carro essendo l’ intervallo topografico tra la reggia e i lavatoi non solo molto esteso metricamente, quanto molto impegnativo come tracciato.
L’intento della dea era, palesemente, quello di consentire al naufrago re di Itaca, che era riuscito a toccare terra proprio nelle immediate vicinanze dei lavatoi, di essere soccorso e, auspicabilmente, aiutato a rientrare in patria.
I brani del poema, ai quali abbiamo fatto necessario e analitico riferimento, sono riportati, volta per volta, sia nella originale lingua greca di Omero, sia nella susseguente traduzione in lingua italiana.
Il riferimento alla lingua originale viene effettuato, non certo con intenti esibizionistici, ma, al contrario, al fine di consentire, a chiunque ne abbia voglia, di potere verificare la correttezza ed esattezza di quanto da noi viene affermato, trattandosi di versione e interpretazione del tutto originali, mai effettuate prima di questo momento. Ribadiamo, a tale proposito, e ancora una volta, che il nostro intento è quello di tradurre il pensiero dello autore dell’Odissea, per capire cosa abbia voluto dire, quali terre abbia voluto indicare e, infine, a quali popoli dell’antichità abbia voluto fare riferimento.
La traduzione alla quale abbiamo fatto riferimento, come già avvenuto in seno al lavoro che precede questo attuale, è quella di Rosa Calzecchi Onesti, che si avvale della prefazione di Fausto Codino, mentre la traduttrice stessa dichiara di essersi avvalsa del testo greco di quella edizione, che a noi sembra la più corretta possibile, curata da Thomas W. Allen (Oxford Classical Texts) con divulgazione a cura dell’editore Einaudi (1963-1989).
Richiamando quanto già scritto in seno al precedente lavoro, ribadiamo che, laddove la traduzione in italiano sia stata da noi ritenuta non corretta e, quindi, sia stata modificata, ciò è stato dichiarato, con contestuale illustrazione delle ragioni interpretative, dissimili da quelle della Calzecchi Onesti, così come è accaduto nel precedente lavoro..
Vediamo, dunque, cosa la dea Minerva, apparsa come detto a Nausicaa in sonno, abbia suggerito alla principessa.
“Ma tu sollecita il padre glorioso, avanti l’aurora,
a prepararti le mule e il carro, che ti trasporti
cinture e peli e mantelli vivaci;
e anche per te così è molto meglio, che andare
a piedi; sono molto lontani dalla città i lavatoi”.
(Odissea, Lib. VI, vv. 36/40)
Volendo precisare i necessari glossemi, con riferimento al brano sopra riportato (vv.36/40), appare indispensabile procedere alla sottolineazione di quanto scrive Omero con riferimento alla distanza tra la reggia di Alcinoo e i lavatoi, posti nella zona pedemontana, oggi Piana di Lamezia Terme, nelle immediate vicinanze della foce di un fiume, di cui non viene palesato il nome. Ciò, comunque, non rappresenta un problema essendo la Piana ricca di corsi d’acqua fluviale.
Tali strutture civiche vengono definite dall’Autore molto lontane dalla città, per cui Minerva consiglia a Nausicaa di chiedere al padre di farle preparare un carro, non solo per il trasporto degli indumenti da lavare, quanto, e soprattutto, affinché la distanza possa essere coperta dalla principessa e dalle sue ancelle, con la minore fatica possibile.
Un altro passo, escerpito sempre dal testo omerico dell’Odissea e, a nostro parere, molto importante per ciò che attiene alla conoscenza dei luoghi, è quello che segue (vv. 262/274).
Nausicaa e le ancelle hanno già incontrato Ulisse, che era stato appena svegliato dal suo sonno profondo dopo il naufragio, dalle grida gioiose delle fanciulle che, in attesa che i panni si asciugassero, si erano messe a giocare a palla.
Le prime, comprensibili difficoltà di approccio, determinate dalla naturale diffidenza delle ragazze nei confronti dello sconosciuto che era apparso all’improvviso e in costume adamitico, ben presto vennero accantonate in quanto Nausicaa, resasi conto come il naufrago non costituisse, al contrario, alcun pericolo, si premura di facilitare la sua pulizia corporale essendo letteralmente coperto da uno spesso strato di sale marino; gli dà alcune vesti con cui coprirsi, dopodiché, la comitiva si avvia alla volta della reggia di Alcinoo.
“Ma come in vista della città arriveremo – un muro la cinge,
alto, e bello ai lati della città s’apre un porto,
ma stretta è l’entrata: le navi ben manovrabili lungo la strada
son tratte in secco, per tutte, a una a una, c’è il posto:
e hanno la piazza, intorno a un bel Posideio,
pavimentata di blocchi di pietra cavata;
qui delle navi nere preparano l’armi,
ancore e gomene, e piallano i remi;
perché nulla importa ai Feaci d’arco e faretra,
ma d’alberi e remi di navi e di navi diritte:
con esse superbi traversano il mare schiumoso.
Voglio sfuggire alle loro chiacchere amare, nessuno
mi sussurri alle spalle! Son molto sfacciati tra il popolo”
(Odissea, Lib. VI, vv. 262/274)
Proseguiamo nel racconto.
La comitiva ormai ha lasciato i lavatoi; ha raccolto e sistemato sul carro i vestiti lavati e si è avviata verso la città dei Feaci.
In tale luogo letterario è Nausicaa che parla ad Ulisse, al quale spiega che vi sarà un momento nel loro percorso verso la reggia di Alcinoo, in cui arriveranno in vista della città e, così, egli potrà rendersi conto de visu che l’insediamento urbano è ben munito, in quanto protetto da un alto muro, mentre ai lati della città s’apre un porto caratterizzato da una entrata stretta (molto probabilmente per finalità difensive e interdittive di eventuali visite non gradite) e, sita nelle immediate vicinanze del porto, sarà possibile ammirare una piazza al cui centro si erge la statua dedicata al dio del mare, Poseidone, per impetrarne, scaramanticamente, la benevola protezione.
A questo punto la principessa, rivela al suo ospite la necessità che egli debba assumere un preciso comportamento al fine di evitare conseguenze spiacevoli per la stessa Nausicaa.
Più chiaramente, Ulisse, quando saranno giunti in vista della città, dovrà separarsi dal gruppo arrestando la sua marcia, mentre sia la principessa, che le sue ancelle, proseguiranno nel loro cammino verso la reggia. Il Laerziade potrà riprendere il suo viaggio solo quando sarà trascorso un certo lasso di tempo dall’allontanamento della fanciulle.
Tutto questo ha un senso ben preciso, spiega al suo ospite la principessa, la quale dimostra di conoscere bene l’indole morbosamente curiosa tendente alla costruzione di trame fantasiose fondate tutte sui pettegolezzi del popolino e, per questo, intende evitare, ad ogni costo, che qualcuno possa imbastire chissà quale storiella e chissà di quale natura, circa la presenza di uno sconosciuto in compagnia della figlia del re.
Spiegato l’arcano della momentanea solitudine in cui lascia il suo ospite, Nausicaa, infatti, prosegue nel suo dire, affermando (vv. 297/299):
“Quando potrai pensare che noi siamo a casa,
scendi allora nella città dei Feaci, e domanda
la casa del padre mio, del magnanimo Alcinoo”
(Odissea, Lib. VI, vv. 297/299)
Quando Ulisse avrà calcolato, grosso modo, il tempo necessario per consentire alla principessa e alle ancelle di giungere alla reggia, allora egli potrà riprendere il suo cammino verso la città dei Feaci, giunto nella quale, non incontrerà difficoltà alcuna nel trovare la casa di re Alcinoo, che potrà essergli indicata da chiunque ne venga richiesto.
I versi che precedono (si reitera l’indicazione: 297/299) sono di una importanza fondamentale, anzi, a nostro modestissimo parere, decisiva, al fine di individuare il sito nel quale il racconto omerico pone la città dei Feaci nel territorio considerato, cioè l’istmo dei Due Mari.
E’ appena il caso di ricordare come il problema relativo all’individuazione del popolo e della terra dei Feaci, abbia avuto una doppia problematica avendo esso riguardato, appunto, sia l’ubicazione topografica della Scheria, sia, una volta individuata quest’ultima, l’ubicazione del suo centro urbano promanante, appunto, il potere politico, normativo e giurisdizionale di quel popolo. Sono molteplici, infatti, le città della Calabria che si contendono, ancora oggi, lo status di eredi legittime della capitale della Scheria.
Il verso che abbiamo sopra riportato per ultimo, sembra allargare, in un certo senso, gli orizzonti del problema con argomentazioni tali che esse potrebbero, sia contribuire all’ auspicata risoluzione, come, al contrario e addirittura, alla ulteriore complicazione dello stesso.
Nella presente sede, l’intento che ci proponiamo non è, certo, quello di enunciare certezze storiche oppure archeologiche, ma, con ogni evidenza, è quello di interpretare, nel modo più originale e corretto possibile, il racconto che ne ha fatto Omero, il quale, nella specificazione dei singoli particolari, soprattutto di natura topografica, dimostra una stupefacente conoscenza dei luoghi.
Non sarà sfuggito all’attento lettore come l’autore dell’Odissea faccia pronunciare alla principessa Nausicaa l’ espressione, sopra riportata nella lingua originale e nella traduzione, che qui si ripete perché resti maggiormente impressa nella mente del lettore
“Quando potrai pensare che siamo a casa, SCENDI allora nella città dei Feaci, e domanda la casa del padre mio, del magnanimo Alcinoo”.
Scendi nella città dei Feaci!
A questo punto è necessario e imprescindibile risolvere l’arcano, ritornando indietro sia nel tempo della trama narrativa, che rappresenta il solco della nostra indagine, sia nei versi omerici già esaminati.
Ulisse approda sulle rive del Tirreno, nella zona dell’Istmo di Catanzaro o, anche, Istmo dei Due Mari, posto tra il golfo di Lamezia Terme sul Tirreno e il golfo di Squillace sul mare Ionio. Abbiamo già precisato, in altro luogo letterario, come i posti narrati ed evocati dall’Odissea non corrispondano geologicamente a quelli attuali, essendo la Piana di Lamezia una creatura geologica di gran lunga più recente rispetto a quella preesistente che ivi si trovava nell’ VIII secolo a. C.
Il mare Tirreno sommergeva con le sue acque tutta la Piana sino quasi ai piedi della catena appenninica. La Piana, infatti, è il risultato di un processo alluvionale determinato dal ritiro delle acque del Tirreno.
E’ evidente che dopo avere descritto quale fosse lo stato dei luoghi ai tempi del racconto (e il cui sito, malgrado la diversità morfologica, si identifica con quello attuale), Ulisse, assieme a Nausicaa e alle sue ancelle, si avvia verso la città di Alcinoo, la quale, per ragioni talmente ovvie da potere essere pretermesse dalla enunciazione, non poteva che essere ubicata se non in direzione della catena montuosa del Reventino, cioè in direzione nord-est rispetto alla spiaggia del mare dove il Laerziade era approdato.
Ciò comporta, necessariamente, che il tragitto da intraprendersi dalla comitiva per raggiungere la città dovesse affrontarsi prendendo la salita di petto.
Sul punto, nessun dubbio può essere avanzato.
Non solo la traccia carrabile (così come nel poema viene denominata la via che dalla città di Alcinoo conduceva al lido tirrenico fino ai pubblici lavatoi) si sviluppava, nel percorso inverso e nel primo tratto (ossia con senso di marcia dai lavatoi alla città) proprio in salita, quanto (così come afferma la dea Minerva, che operava sotto mentite spoglie al fine di agevolare il suo protetto, re di Itaca) “i lavatoi sono molto lontani dalla città” (lib. VI, v. 40).
Da quanto precede, si ricava agevolmente la certezza che all’inizio la strada carrabile era sicuramente in salita, né potrebbe essere altrimenti.
Stando così le cose, a prima vista sembrerebbe incomprensibile il discorso di Nausicaa quando, rivolta ad Ulisse e dopo averlo invitato ad attendere che lei e le ancelle abbiano raggiunto la città, aggiunge:
Scendi nella città dei Feaci!
Ma, al di là dalla prima impressione di lettura, il racconto, che, al contrario, è chiaro e coerente, in relazione alla situazione dei luoghi, va de plano verso una precisa logica e, quindi, un approdo rivelatore, che sino al momento di stesura del presente lavoro, non ci sembra siano stati presi in seria considerazione.
Prima di pronunciare la frase riportata, Nausicaa aveva preannunciato ad Ulisse che non appena fossero arrivati in vista della città, Ulisse avrebbe potuto vedere l’ alto muro che la cinge e il porto posto ai lati della città (lib. VI, vv. 262/274).
Collegando sul piano logico i frammenti discorsivi della principessa feace, si ricavano i seguenti elementi di certezza:
1) La città di Alcinoo non poteva essere visibile da qualsiasi luogo ad essa circostante, in quanto, infatti, per poterla scorgere, occorreva essere posizionati a partire da un punto geografico ben preciso. Tale punto da cui iniziava il panorama, anche in riferimento a quanto si dirà di seguito, non poteva non essere se non il cacumen montis, che, nella specie, coincide con la cima del Reventino.
Da ciò si deduce, in modo pacifico, che l’insediamento urbano si trovava allocato in un punto del fianco orientale del monte Reventino, posto proprio dirimpetto all’isola di Itaca e, quindi, in faccia al mare Ionio, tanto che per potere scorgere la città, da parte di chi provenisse da ovest, era necessario raggiungere la cima montuosa.
Il percorso dalla città ai lavatoi, così come affermato dalla dea Minerva, apparsa sotto false sembianze a Nausicaa, era piuttosto lungo e impegnativo, in quanto comprendeva una iniziale salita dalla città alla cima del Reventino e una successiva discesa dalla cima ai lavatoi siti presso la foce di un fiume della Piana. E’ assolutamente ovvio che il processo itinerario inverso, ossia dai lavatoi alla città, comprendesse una salita, dal lato orografico occidentale e sino al cacumen montis dal quale, poi, iniziava la discesa sino alla città stessa.
La ricostruzione che precede, oltre che da ulteriori elementi che saranno infra esaminati, è supportata dall’inciso sopra riportato che, quindi, non rappresenta un controsenso come potrebbe essere apparso a prima lettura, ma un’azione conseguente e necessaria alla reale situazione dei luoghi.
A questo punto non è chi non veda come l’invito rivolto da Nausicaa al Laerziade di riprendere la marcia dopo un certo lasso di tempo, non potesse avere un contenuto diverso da quello di scendere verso la città dei Feaci.
Sentiamo il dovere di precisare, ancora una volta, che il compito che ci siamo assunti con il presente lavoro non è quello di volere divulgare principi e conquiste che riguardano la storia o l’archeologia, come ci è capitato in altre, diverse occasioni; qui, come già detto il nostro obiettivo è quello di raggiungere la verità (la semplice verità, senza ulteriori aggettivi) del racconto omerico.
2) A questo punto, appare opportuno esaminare se nel racconto dell’aedo greco si possano rinvenire altri particolari circostanziali che possano aiutarci a comprendere la posizione della città di Alcinoo in riferimento all’intero fianco orientale del monte Reventino.
Il quesito che è stato sopra posto riscontra una indubbia risoluzione narrativa nei versi attinenti al libro VI, verso 263/264, laddove si dice che “bello ai lati della città s’apre un porto, ma stretta è l’entrata”.
L’espressione letteraria è sufficiente per farci capire che la città dei Feaci era situata sul mare Ionio, laddove esisteva il relativo porto, caratterizzato da due elementi sui generis:
a) una entrata stretta, che si può spiegare per ragioni di sicurezza avverso probabili attacchi nemici;
b) una estensione eccezionale, difficilmente riscontrabile in altre città marittime, in quanto normalmente l’estensione portuale è ricompresa nella proiezione dei limiti urbani e non debordando da essa, tanto che l’abbraccio di entrambi i suoi moli andava ben oltre l’ intera estensione del perimetro urbano.
A stretto contatto con le mura della città e nelle immediate vicinanze del porto, era possibile vedere e ammirare una bella piazza tutta lastricata con pietre cavate e al cui centro era posta la statua in onore del dio del mare, Poseidone.
La piazza, come in tutte le città della Magna Grecia era il luogo epicentrico della vita cittadina, sotto ogni profilo, sia civile, che politico, che, infine, militare quando era necessario prendere decisioni di estrema importanza.
Ciò è tanto vero che, nel momento in cui Alcinoo decide di dovere riunire il suo popolo perché fosse informato, sia dell’arrivo dell’ospite itacense, sia delle eventuali decisioni da prendere per consentirgli il rientro in patria, la riunione pandemica venne tenuta proprio nella piazza del Posideio, sulla quale affacciava anche il palazzo del re.
A riunire il popolo feace pensò il re con i consueti mezzi d’informazione, anche se un’attività certamente eccezionale venne svolta dalla dea Minerva in persona, la quale travestita questa volta da araldo di Alcinoo si mise a girare per il paese incitando gli abitanti ad intervenire alla riunione, che nella lingua greca veniva detta ἐκκλησία, consistente, come già accennato, nella riunione di tutti i cittadini di una città-stato, i quali, se non interdetti da particolari provvedimenti dell’autorità, ma nel pieno possesso dei loro diritti, avevano il potere di prendere la parola esprimendo la propria opinione, nonché di deliberare votando su determinate questioni di interesse generale.
“E tutti guidava la sacra potenza d’Alcinoo
all’assembla dei Feaci, che era presso le navi.
Arrivati sedettero presso le lucide pietre,
vicini; per la città girava Pallade Atena,
parendo l’araldo del saggio Alcinoo,
per provvedere al ritorno del grande Odisseo;
e avvicinava ogni uomo e diceva parola:
<<Su presto, principi e capi feaci,
andate in piazza a sentire dell’ospite,
ch’è appena arrivato al palazzo del saggio Alcinoo,
errando pel mare, simile per aspetto agli dei>>”
(Odissea, Lib. VIII, vv. 4/14)
Dopo di ciò l’assemblea venne sciolta e ognuno tornò alla propria casa, ben soddisfatto avendo apprezzato le parole pronunciate dal loro re. Nel corso di tale riunione generale, Alcinoo illustrò al suo popolo cosa era successo ai pubblici lavatoi sulla sponda del mare Tirreno, parlando in modo molto empatico dell’ospite straniero e della necessità che venisse accompagnato da parte dei Feaci sino alla sua patria. Invitò i cittadini più abbienti a preparare dei doni da consegnare all’ospite, offrendo egli stesso un efficace esempio,di modo che rimanesse del popolo feace un ricordo felice e gratificante, precisando che l’indomani una loro nave, con l’ospite a bordo, avrebbe mollato gli ormeggi prendendo il largo alla volta della patria del Laerziade.
“Così disse Alcinoo: e agli altri la parola piaceva.
Dunque andarono tutti a casa a dormire,
e come, nata di luce, brillò l’Aurora dita rosate,
alla nave accorrevano, portavano bronzo massiccio;
e bene lo collocò sotto i banchi la sacra forza d’Alcinoo,
andando lungo la nave lui stesso, perché nessuno degli uomini
fosse impedito nel tendersi, facendo forza sui remi
Quindi al palazzo d’Alcinoo tornavano e al banchetto pensavano”
(Odissea, Lib. XIII, vv. 16/23)
Dal racconto di Omero sembrerebbe che i Feaci, dopo aver tenuto l’assemblea, quasi non riuscirono a prendere sonno, tanto è vero che, appena l’ Aurora si affacciò nel cielo d’oriente, essi erano, con la maggioranza dei suoi componenti,tutti in piedi e cominciarono ad avviarsi verso la nave, che stava per essere allestita per potere prendere il largo, ciascuno portando doni soprattutto di bronzo massiccio.
Giunto il momento, tanto atteso da parte del Laerziade, di partire, Ulisse si congeda dai suoi ospiti meravigliosi, presentandosi al cospetto di Alcinoo. Il re dei Feaci incarica un suo araldo perché accompagni l’ospite sino alla nave pronta per mollare gli ormeggi.
La moglie di re Alcinoo, la regina Arete, emulando con questo il marito, dà gli ordini ad alcune sue schiave perché accompagnino l’ospite sino alla nave.
Una delle schiave porta un mantello pulito e una tunica; un’altra porta l’arca massiccia; un’altra ancora porta i vettovagliamenti consistenti, soprattutto, in pane e vino rosso.
Non appena il corteo giunge alla nave, gli accompagnatori, l’equipaggio ed Alcinoo in persona si danno da fare per sistemare a bordo, in modo ordinato per non creare impaccio ai movimenti dei rematori, tutti i doni ricevuti dall’ospite e, nello stesso tempo, viene preparato a poppa un giaciglio con panni e lini, in modo che l’ospite potesse stendersi e riposare durante la traversata.
“Detto così passò la soglia Odisseo luminoso;
con lui la potenza d’Alcinoo mandava l’araldo,
che lo guidasse all’agile nave e alla spiaggia del mare.
E Arete gli mandò dietro alcune sue schiave,
una recante un mantello pulito e una tunica,
un’altra a portare l’arca massiccia mandava,
e un’altra pane e vino rosso portava.
Dunque, come alla nave giunsero e al mare,
subito nella concava nave la scorta gloriosa
accolse e ripose vesti, cibo e bevanda.
E poi per Odisseo stesero panni e lini
sul ponte della concava nave, che dormisse tranquillo,
a poppa; allora lui pure salì, e si stendeva
in silenzio; essi sedevano sui banchi, a uno a uno,
in ordine, e la gomena sciolsero dalla pietra forata;
poi piegandosi avanti, presero a rovesciare il mare col remo;
intanto a lui dolce sonno sulle ciglia cadeva,
un sonno profondo simile in tutto alla morte”
(Odissea, Lib. XIII, vv. 63/80)
Allestiti questi preparativi, Ulisse, certamente vinto dalla stanchezza complessiva del suo peregrinare, si stende sul giaciglio appositamente preparato, mentre gli uomini dell’equipaggio sciolgono la gomena dalla pietra forata per l’aggancio e, dunque, cominciano a rovesciare, rimescolandone le acque con i remi, il mare, mentre ad Ulisse “dolce sonno sulle ciglia cadeva, un sonno profondo simile in tutto alla morte”.
3) Altro elemento decisivo e terminativo, che, come a noi sembra, si pone a ulteriore sostegno della nostra tesi, è rappresentato dal racconto esplicato nei libri VIII e XIII, che sono stati sopra esaminati.
Tutti i brani escerpiti dal poema ed esaminati sotto il profilo della grammatica e della logica della trama narrativa, militano, senza alcuna ombra di dubbio, per rimarcare l’affermazione di una notevole differenza tra due comportamenti umani similari, che, proprio per questo, avrebbero dovuto, invece, esplicarsi tramite le medesime modalità operative.
Alludiamo alla differenza comportamentale tra l’effettuazione di due percorsi peculiari descritti nel poema e, precisamente:
a) Appare di tutta evidenza come il popolo feace, quando ha necessità, come nel caso della principessa Nausicaa e delle sue ancelle, di recarsi presso i pubblici lavatoi (ovverosia, quando ha necessità di raggiungere la costa tirrenica), opta per l’adozione di un mezzo di locomozione (carri-cavalli-muli) e ciò, con ogni evidenza, in dipendenza della notevole distanza topografica che divide il territorio della città da quello dove sono ubicati i lavatoi.
Abbiamo sottolineato altrove come l’attuale estensione dell’istmo di Catanzaro tra mare Tirreno e mare Ionio si attesti, all’incirca su trenta chilometri.
Abbiamo anche annotato come, ai tempi nei quali si svolge l’azione che costituisce il narrato dell’Odissea, VIII secolo a. C., tale distanza dovesse essere inferiore a quella attuale, quanto meno in riferimento al mare Tirreno che lambiva ben oltre l’attuale linea di battigia, coprendo tutta la Piana lametina fino a raggiungere l’area pedemontana.
Malgrado tale distanza, da costa a costa, fosse inferiore a quella attuale, tuttavia Omero ha ritenuto che fosse consigliabile coprire la distanza città-lavatoi con un mezzo di locomozione.
b) Comportamento assolutamente dissimile viene tenuto quando, al contrario, i Feaci debbono spostarsi dalla città sino a raggiungere il porto (che cingeva la città da entrambi i lati).
Il riferimento è al momento narrativo nel quale Ulisse, accompagnato dall’araldo comandato da re Alcinoo e dalle schiave messe a disposizione dalla regina Arete affinché trasportassero i bagagli costituenti i doni offertigli, si avvia verso il porto sul mare Ionio e raggiunge la nave che lo condurrà a casa.
La comitiva si sposta a piedi, sebbene i bagagli fossero trasportati non già da uomini robusti e adusi a tale tipo di fatica, ma da alcune ragazze che erano le schiave di Arete.
Si consideri, ancora, che tra i bagagli trasportati era ricompresa quell’arca massiccia, donata all’ospite da Alcinoo, al trasporto della quale è stata adibita una sola delle schiave della regina Arete, la quale procedeva a piedi come tutti gli altri.
Si comprende bene, a questo punto, quale sia il senso dei riferimenti che precedono:
la distanza tra la città dei Feaci e il loro porto sullo Ionio era talmente breve e agevole da coprire da doversi escludere la necessità di mettere a disposizione alcun mezzo di locomozione potendo essere facilmente raggiungibile pedibus calcantibus.
Andrebbe contro ogni logica sostenere che la città fosse situata ad alcune miglia dal suo porto (che, al contrario, la cingeva da entrambi i lati), così com’era distante dai lavatoi posti sul mare Tirreno.
Se, dunque, la capitale del regno dei Feaci era da annoverarsi tra le città marittime (paraqalattioi poleis ), essa doveva necessariamente essere ubicata in stretta simbiosi politica, topografica, commerciale e logistica con il proprio porto, a un passo dal mare Ionio.
Considerata la descrizione dei luoghi fatta da Omero, con ogni probabilità, per raggiungere il porto, la comitiva non doveva fare altro che attraversare semplicemente la piazza del Posideio.
La scenografia narrativa, così come è stata concepita dal suo Autore, non consente di potere pensare ad una ubicazione diversa della capitale dei Feaci, i cui resti vanno, quindi, ricercati sulla riva del mare Ionio, in quanto, per dirla con una espressione tratta dallo stesso poema, la terra dei Feaci si trovava ubicata “una volta davanti, e una volta dietro Scilla e Cariddi”, mentre, ovviamente, la città dei Feaci, posta sulle rive dello Ionio, si trovava ubicata “dietro Scilla e Cariddi”.
Desideriamo concludere questa fugace incursione letteraria nel mondo del grande Vate, Omero, aggiungendo a quanto già scritto, la brevissima considerazione che segue.
Dopo essersi imbarcato sulla nave dei Feaci e dopo essere letteralmente crollato in un sonno simile alla morte, il distruttore di città, Ulisse, si risveglia nel momento in cui all’orizzonte d’oriente si intravvedono i raggi rosati dell’Aurora e, con essi, i contorni, per lui inconfondibili, dell’amata Itaca.
“Come la lucentissima stella brillò, che più di tutte,
annuncia salendo il raggio dell’alba nata di luce,
ecco che all’isola già s’accostava la nave marina”,
(Odissea, Lib. XIII, vv. 93/95)
Finalmente a casa!
Con gli occhi tremuli di pianto, rivede la sua amata patria da cui il Fato lo aveva costretto a stare lontano per un intero ventennio, durante l’evolversi del quale ne aveva patito di tutti i colori.
Anche la versione in lingua greca di questo momento vissuto da Ulisse alla vista della sua isola, rende, sia nei termini, che nella costruzione letterali, entrambi empaticamente commossi, lo stato d’animo del Laerziade, il quale ignora, però, che le sue disavventure non si sono ancora esaurite, perché la sua storia, come sappiamo, non finisce qui.
In conclusione, riteniamo di potere affermare, senza timore che qualcuno possa smentirci, che nell’animo di Ulisse, e per lui in quello dell’odierno lettore, sarà rimasta indelebilmente impressa l’accoglienza umanamente fraterna, da parte dell’ospitale popolo dei Feaci e dell’intera Terra di Scheria, il cui DNA si può rinvenire, tale e quale a quello descritto da Omero, anche ai giorni nostri, e con il vantaggio che non è necessario naufragare sui suoi lidi: è sufficiente raggiungere comodamente i paesi che fanno parte della Riviera dei Tramonti.
di Michele Manfredi-Gigliotti