Il 1° dicembre 2025 è una data che entrerà nella storia. In questo giorno Vladimir Putin ha firmato un decreto che cambia radicalmente le regole: i cittadini della Repubblica Popolare Cinese potranno entrare in Federazione Russa senza bisogno di visto per soggiorni fino a 30 giorni.
La misura, entrata in vigore da oggi e valida fino al 14 settembre 2026, riguarda viaggi per turismo, affari, visite familiari, partecipazione a eventi scientifici, culturali, sportivi o economici, nonché transiti.
Non è una modifica dei viaggi per lavoro o studio a lungo termine, per queste finalità restano prioritari i canali tradizionali.
Il decreto esenta dall’obbligo del visto 1,4 miliardi di persone con effetto immediato.
La decisione di Mosca arriva poche settimane dopo che Pechino aveva avviato una politica analoga: anche i cittadini russi possono da settembre 2025 entrare in Cina senza visto per brevi soggiorni.
Un boom di prenotazioni
Secondo fonti cinesi, nelle ore che hanno seguito l’annuncio le ricerche di voli verso la Russia su piattaforme come Fliggy sono schizzate a +800% rispetto al giorno precedente, con prenotazioni quasi 5 volte superiori.
Anche le prenotazioni alberghiere per dicembre hanno registrato un +50% su base annua, e alcune città russe, per esempio Mosca e Vladivostok, segnalano un aumento significativo degli arrivi.
Questi numeri non sono semplici cifre turistiche: sono il segno che la “domanda” reagisce immediatamente quando si abbassano le barriere.
Non è solo turismo: è geopolitica, è strategia
Dietro a questo decreto non c’è solo l’intenzione di facilitare viaggi e affari ma di ridefinire equilibri.
- Ridisegno delle rotte migratorie e turistiche: dopo il crollo degli arrivi occidentali in Russia dal 2022, la mossa mira a sostituire quel flusso con un mercato potenzialmente molto più ampio.
- Integrazione economica e infrastrutturale: flussi monetari, investimenti, domanda di logistica, immobili e servizi si preparano a espandersi dove le sanzioni occidentali hanno creato vuoti.
- Riconfigurazione dei legami civili: turismo, scambi culturali, accademici, imprenditoriali, tutto può contribuire a cementare nuovi assi di influenza, collaborazione e interazione tra Cina e Russia.
- Un’alternativa al modello occidentale: mentre l’Occidente aveva spesso eretto muri geopolitici, questa iniziativa è presentata come un ponte: “mozione di apertura” verso il grande Est.
Se la tendenza si confermerà, potremmo assistere a fenomeni profondi e duraturi:
- Aumento stabile dei flussi tra Cina e Russia, con crescita di turismo, investimenti e mobilità di affari.
- Sviluppo infrastrutturale, soprattutto nelle regioni dell’Estremo Oriente russo, per sostenere new-entry e picchi di domanda.
- Maggiore peso geopolitico dell’asse Pechino-Mosca. Quella che può sembrare solo “libertà di viaggiare” di fatto rafforza una narrativa di cooperazione est-est, alternativa agli equilibri euro-atlantici.
- Possibile allargamento o estensione dell’accordo oltre il 2026, se l’esperimento sarà considerato un successo.
Il decreto di Putin non è un semplice atto amministrativo. È la firma su un nuovo capitolo, quello in cui l’ordine mondiale cambia forma, spostando gli assi del potere, della mobilità e delle opportunità.
Per la Cina, significa aprire le porte ad un territorio immenso. Per la Russia, significa riorientare la propria apertura verso Est, adesso che che l’occidente ha chiuso le porte. Per il mondo, significa che la mappa dei flussi di persone, capitali, idee sta per essere riscritta.
In un’epoca di muri eretti a difesa di identità e politiche restrittive, questa mossa è un ponte. Un ponte spalancato.
Noi in Italia, vocati al turismo, abbiamo commesso l’ennesimo autogoal, l’ennesimo imposizione che ci danneggia. L’ennesima dimostrazione di quanto ci manca la Prima Repubblica, che in diplomazia e in affari internazionali faceva scuola a tutto il mondo.
L’apertura totale della Russia ai cittadini cinesi arriva mentre l’Italia, come gran parte dell’Europa, registra una contrazione costante del turismo asiatico dal 2020 a oggi. E l’effetto si preannuncia pesante. Il mercato cinese, che prima della pandemia rappresentava oltre 7 milioni di presenze annue nel nostro Paese e una spesa superiore agli 1,7 miliardi di euro, continua a rallentare a vantaggio di destinazioni percepite come più accessibili e più amichevoli.
La decisione di Mosca cambia le carte. I viaggiatori cinesi, già oggi più inclini a scegliere mete asiatiche o euro-asiatiche, potrebbero dirottare ulteriormente i propri flussi verso la Russia. L’Italia rischia quindi una duplice perdita, meno arrivi diretti e una concorrenza crescente da parte di un Paese che sta costruendo una “porta orientale” alternativa all’Europa.
In un mercato in cui il turismo è geopolitica economica, ogni barriera non rimossa diventa una risorsa economica perduta. Mentre a Est si aprono le porte, a Ovest si rischia di chiuderle ai propri stessi interessi.



























