“Domine dilexi decorem domus tuae”, “ho avuto a cuore, Signore, il decoro della tua casa”. Questa frase tratta dal Salmo 25 e, un tempo, molto nota perché recitata nel mattutino della domenica, troneggia nuovamente sull’arco di trionfo della Chiesa di San Giovanni Battista che, finalmente il 22 giugno, verrà nuovamente riaperta al culto.
A farla dipingere lì in un cartiglio nel punto certamente più visibile dell’intera struttura, era stato il sacerdote sotto il cui parrocato nel 1813 vennero definitivamente ultimati i lavori di risistemazione e decorazione del tempio.
Non so se sia una semplice coincidenza, ma qualora lo fosse è certamente assai eloquente: quella scritta era diventata ormai sbiadita, irriconoscibile, come sbiadito era il decoro di questa chiesa che nel corso dell’ultimo secolo aveva subito l’ingiuria del tempo e – absit iniura verbis – quella degli uomini tanto da diventare anch’essa, allo stesso modo, irriconoscibile.
Nei primi decenni del Novecento, per volere dell’illuminato sacerdote don Vincenzo Sirianni, l’edificio era stato interessato da un complesso lavoro di restauro. La lapide dipinta a trompe l’oeil che ne attesta la realizzazione recita: “Poiché aveva bisogno da tempo di restauro, il parroco Vincenzo Sirianni, dottore in filosofia e lettere, sciogliendo alcuni antichi voti, con i soldi del popolo e della chiesa, restituì al suo antico decoro nell’anno del Signore 1922. Giorgio Pinna Pittore” (riporto il solo testo italiano per evitare di latineggiare troppo). Tranne i quattro magnifici tondi che circondano il presbiterio, i due dipinti su lastra di zinco raffiguranti la Madonna del Carmine e San Carlo Borromeo, probabilmente, alcune decorazioni a monocromo e gli angeli della volta che grazie a un abilissimo gioco prospettico sembrano trascinare lo spettatore oltre lo spazio fisico, verso l’empireo, non sappiamo con esattezza quale fu l’entità di questo intervento che, supponiamo, non debba essere stato di carattere meramente decorativo.
Certo è che, sotto il parrocato di don Francesco Massara si ebbe un nuovo sostanzioso intervento attestato dalla medesima lapide già citata: “Poiché il tempo aveva portato [l’edificio] in uno stato peggiore, il parroco Francesco Massara con i risparmi della chiesa e le offerte del popolo restaurò nell’anno 1963. Felice Cerra Pittore”.
Ora, se Giorgio Pinna era un pittore di gran talento, formatosi all’Accademia di Brera e con all’attivo numerosi interventi decorativi e pittorici in edifici sia religiosi che civili, Felice Cerra – di nuovo, absit iniura verbis – non poteva certo vantare tanta e tale perizia. Non solo, ma gli anni ’50 e ’60 rappresentarono per i beni storici e culturali di tutta la nostra regione un periodo che non riesco a definire altrimenti che “barbarie”. Sono anni di grande euforia, in cui il Sud, anche grazie all’intervento straordinario, esce finalmente dalla povertà restringendo la forbice che lo separava dal Nord. Sono gli anni in cui si consuma il definitivo abbandono dei centri storici: interi borghi ricchi di testimonianze artistiche e architettoniche, talvolta di straordinario valore, vengono abbandonati in favore di condomini anonimi costruiti spesso in contesti di grande confusione urbanistica, senz’anima, senza volto, come molte nostre marine o come alcune zone periferiche delle nostre città diventate poi con il passare degli anni centrali, rubando il luogo ai vecchi centri decaduti a periferie. Ciò che era antico ricordava la miseria, la fame, doveva essere rimpiazzato. In quegli anni il patrimonio artistico della Calabria subì perdite enormi. Ovunque.
Fu un processo rapido e inarrestabile che si concluderà solo in tempi recenti quando si riacquisterà una maggiore consapevolezza del valore del passato e delle sue testimonianze.
A Soveria molte cose verranno distrutte: la chiesetta della Madonna della Purità demolita per fare spazio a un edificio in cemento armato che rompe l’armonia dei palazzetti liberty che si affacciavano sul corso, l’antico oratorio della confraternita dell’Immacolata, adiacente la Chiesa madre praticamente obliterato, il coro ligneo distrutto, i paramenti antichi sepolti sotto il pavimento, il pulpito monumentale abbattuto, le statue antiche (opere insigni del ’700 napoletano) interamente ridipinte come vecchie porte di legno…
La bella chiesa di San Giovanni con il suo elegante stile rocaille, i suoi stucchi che richiamavano quelli dell’abbazia di Corazzo, perse così la sua antica grazia. La furia rinnovatrice portò i nostri avi più recenti a scelte garibaldine (è proprio il caso di dirlo) dettate forse da interpretazioni arbitrarie – e sbagliate – della storia di questo luogo che, intervento dopo intervento, finì per assumere quell’aspetto dimesso e tetro che tutti ricordiamo.
La comunità di Soveria Mannelli deve pertanto essere grata – immensamente grata – a don Roberto Tomaino che ha avuto il coraggio e la caparbietà di restituire la dignità e la bellezza perdute alla nostra chiesa. Il ruolo di don Roberto, nella storia di questo tempio, è pari a quello di don Vincenzo Sirianni. Ma don Roberto da solo non avrebbe potuto realizzare quanto ha realizzato senza il supporto dei fedeli. Per questo ogni soveritano può rivendicare con orgoglio di avere tenuto fede a quel versetto del salmo 25 che abbiamo citato in apertura.
Ora Soveria ha di nuovo un tesoro di inestimabile valore. Certo un intervento di restauro non è una macchina del tempo capace di azzerare i secoli e di riportare quel luogo nelle precise condizioni in cui si trovava all’inizio del XIX secolo, ma è stato fatto molto, moltissimo per porre rimedio a tante scelte sconsiderate.
La riapertura della chiesa di San Giovanni è per Soveria uno di quei momenti da registrare nel libro d’oro della città, al pari di quegli eventi gloriosi che tutti ricordano e che hanno reso celebre questo lembo di Calabria; un giorno la cui eccezionalità sarà sottolineata dalla presenza del Cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot, Presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso che presiederà la solenne cerimonia di benedizione del tempio domani 22 giugno.
Alla comunità parrocchiale di Soveria cui sarà affidato questo bene, ma anche alla comunità tout-court, spetta ora il compito di custodire e proteggere questa grande bellezza che, finalmente, si disvela ai nostri occhi, nella consapevolezza che le cose belle – tutte le cose belle – sono anche fragili e pertanto necessitano di ancora maggiore cura e attenzione.
“Domine, dilexi decorem domus tuae et habitationis gloriae tuae”.
Antonio Cavallaro