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Cani randagi a Motta Santa Lucia: un problema annoso che non trova risoluzione

A distanza di oltre un anno dalle prime lettere di denuncia del cittadino Ferdinando Pirri, riprese anche da diverse testate giornalistiche su carta stampata e su internet, non si è fatto molto per risolvere o almeno frenare il fenomeno del randagismo nel territorio comunale di Motta Santa Lucia. Ora, Pirri si rivolge nuovamente al sindaco e ai vigili urbani del proprio Comune, nonché all’Asp di Catanzaro – Servizio Veterinario di Lamezia Terme, per ribadire la persistenza se non addirittura l’aggravarsi del problema.

«Facendo seguito alle precedenti comunicazioni rimaste prive di riscontro – scrive questa volta Pirri ‒ si evidenzia che a tutt’oggi continuano a vagare sulle strade comunali dei cani randagi». E, come se non bastasse: «Nel terreno di mia proprietà, retrostante l’abitazione principale, confluiscono detti cani randagi che determinano una serie di disagi al sottoscritto e famiglia», tra questi il «deposito dei propri escrementi che contaminano l’ambiente circostante e che, in caso di disattenzione, possono essere calpestati e portati all’interno della propria abitazione, causando contaminazioni fecali», ma soprattutto la paura di trovarsi a dover fronteggiare tanti cani riuniti in un branco che, proprio a causa di questa condizione particolare, possono diventare estremamente pericolosi e suscitano pertanto, tra i componenti della famiglia Pirri, la sacrosanta «preoccupazione di essere aggrediti e azzannati».

Pirri conclude il suo appello-denuncia sollecitando il sindaco a mettere in pratica i suoi poteri di autorità sanitaria locale, in modo da adottare tutti i provvedimenti del caso «al fine di attuare le necessarie misure per porre fine alla problematica più volte segnalata».

Il problema dei cani randagi è condiviso anche da molti altri comuni dell’area del Reventino e, oltre a provocare disagi simili a quelli messi in evidenza da Pirri, si pone all’attenzione delle comunità come un elemento di civiltà disatteso.

Non si vuole mettere in discussione il diritto degli animali a vivere serenamente la propria esistenza, ma ciò deve avvenire in condizioni dignitose per loro stessi e che garantiscano la sicurezza dei cittadini.

Probabilmente, la soluzione potrebbe essere individuata in una sorta di “canile verde”, gestito in modo rispettoso dell’ambiente e degli stessi animali, da parte di una cooperativa che possa dichiarare e dimostrare una comprovata coscienza ecologista e animalista.

Gli spazi per realizzare un simile progetto, nei nostri territori montani, non mancano: forse occorrerebbe solo trovare un accordo tra comuni vicini e centralizzare un servizio che potrebbe anche dare l’opportunità a dei giovani volenterosi di “inventarsi” un lavoro di qualità.

Raffaele Cardamone

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