di Andrea Flocco –
Quest’anno ricorrono i 60 anni dalla tragedia della Fiumarella, un evento che per le nostre piccole comunità ha rappresentato uno spartiacque, una cesura netta tra un prima e un dopo. Un evento il cui riverbero si è protratto e si protrae, permane nelle famiglie, permane nelle case, permane nelle coscienze di chi l’ha vissuto e di chi lo ha appreso.
Tuttavia, la memoria, quella che, come dice il mio amico di Decollatura, Giovanni (Petronio, autore del libro “I ragazzi della Fiumarella. Un disastro ferroviario a colori”, NdR), appartiene a tutti, è collettiva, viva, in evoluzione, deve avere un’eco ampia, deve scivolare al di là dei limiti geografici e temporali imposti ad essa dagli organi competenti, dalla stampa, da chi aveva interesse a farlo. Dalla memoria si traggono insegnamenti, si accumulano esperienze. Dalla memoria di ieri si acquisiscono gli strumenti per operare oggi e costruire domani un mondo migliore. Per cui, ben venga chi si adopera, non solo per informare, per far conoscere, per dare vita al passato, ma anche per fare luce sulla verità, sulle verità, su quanto di oscuro e controverso si cela fuori dalla portata della luce del sole. Una memoria morta, è una memoria che spiana la strada all’immobilismo, al giustificazionismo, al “e che ci dobbiamo fare” e al “è sempre stato così”. Ed è così che un territorio viene perduto, le sue infrastrutture smantellate, la sua comunità abbandonata, i suoi appartenenti quasi spinti all’esilio volontario alla ricerca di una terra migliore da “coltivare”.
La memoria è come un albero: ha delle radici profonde nel ricordo delle persone che c’erano, dalle quali il suo ciclo vitale ha origine; ha un tronco, che è rappresentato da tutte le persone che sono venute a conoscenza dell’evento, tramite testimoni diretti, giornali, telegiornali e qualunque altro strumento di comunicazione; ha dei rami, che sono le persone che si occupano di farla conoscere; e infine, ha le foglie, ha i fiori e i frutti, che sono gli insegnamenti che bisogna trarre da essa. La memoria è come un albero, e come un albero, senza il nutrimento muore! Senza qualcuno che se ne prenda cura, che la nutra, rinsecchisce, piano piano cadranno le foglie, non sbocceranno più fiori, non ci saranno più i frutti. Ho accompagnato Giovanni in innumerevoli incontri, tappe fondamentali del suo percorso, percorso che sento un po’ anche mio, in cui ho deciso di calarmi, proseguendo anche sul tracciato aperto da mio padre che, nel 2011 ha realizzato un cortometraggio in ricordo del disastro (Fiumarella, la tragedia dimenticata NdR). Un percorso in cui ho visto l’interesse per la questione crescere volta per volta, con presentazioni sempre più gremite di gente di tutte le età, persone che erano a conoscenza dell’evento e individui che non ne avevano mai sentito parlare prima. Percorso che ho intrapreso senza mai stancarmi, senza mai avere il timore di ripetermi e mai mi stancherò di farlo.
Questi ultimi anni mi hanno trasmesso la consapevolezza di quanto sia ancora possibile fare, di come sia necessario che si continui a battere il martello della memoria sull’incudine del tempo, per impedire che quest’ultimo trascini nell’oblio ciò che è stato. Non si tratta di ricordare sterilmente l’evento, ma di accompagnare il territorio verso una riappropriazione storiografica del suo passato, una ricostruzione accurata e quanto più oggettiva possibile di una realtà ormai non più così vicina e sotto il perenne rischio di indebite manipolazioni e travisamenti. Una riappropriazione che abbia come punto di partenza i luoghi del territorio, come il viadotto, il greto del torrente, la ferrovia, le stazioni, il mausoleo, che hanno necessità di non rimanere più prigionieri di una dimensione privata, di sgusciare fuori dal soggettivismo e farsi parte integrante di una memoria collettiva che permea, che deve permeare le coscienze. I luoghi devono diventare luoghi pubblici, in cui ci si reca per riflettere, la cui sola vista trasmette a chiunque li osservi un significato denso. Luoghi che devono essere sedi di commemorazioni ricorrenti, poiché il tempo del lutto, è finito, ma il tempo della memoria è giunto. Per cui, grazie Giò, la storia e il territorio del Reventino, ti sono debitori.