In un paesino di nome Riace abitava un uomo di nome Mimmo Lucano.
Abitava in una casetta da cui si vedeva il mare e tutto il suo paese.
Ogni volta che era giù di morale si affacciava dalla finestra di casa sua e pensava.
Un giorno, accendendo il televisore, sentì una notizia spiacevole: erano morti nel Mediterraneo 300 migranti.
Appena apprese la notizia, spense il televisore e iniziò a pensare a un’idea per aiutare quella povera gente che scappava dalla guerra, dalla fame, dalla miseria e dalla violenza.
Una mattina Mimì, come lo chiamavano gli amici, prese la macchina e andò al mare, si sedette sulla spiaggia e fissò il mare con i suoi occhi grandi.
A un tratto passò una ragazza di sedici anni, si chiamava Luce, camminava sola sulla spiaggia. Mimì si avvicinò e le chiese cosa ci facesse lì da sola. Lei gli rispose: «Vengo su questa spiaggia ogni mattina, guardo il mare e penso ai miei genitori che sono morti proprio su questa spiaggia. Siamo venuti in Calabria per una nuova vita, per un po’ di felicità, invece loro hanno trovato la morte, io ora sono rimasta sola e vivo in una tendopoli qui vicino…»
Mimì guardò il cielo e se né andò via con un dolore nel cuore.
Da qualche giorno Riace è cambiata ma anche la vita di Mimmo.
Avviò un progetto di accoglienza, iniziò a ospitare i rifugiati e i richiedenti asilo, che iniziarono una nuova vita.
Cominciarono a lavorare, aprirono botteghe artigianali dove con le loro mani creavano tante meraviglie.
Quello che Mimì aveva costruito ad alcune persone non stava bene e queste fecero di tutto per distruggere il progetto.
Mimì non si arrende.
Una mattina di domenica, mentre tutti gli abitanti uscirono dalla messa, li fermò e disse: «Mi stanno prendendo per portarmi un po’ via da voi, andrò a farmi un viaggio per l’Italia, per far conoscere la nostra storia».
Vi prometto che non vi lascerò da soli, vi porterò per tanto tempo nel mio cuore perché da voi ho imparato che per resistere bisogna guardare chi sta peggio di noi.
Un giorno tornerò e farò di noi e del nostro paese il sogno dell’utopia sociale.
di Angela Moraca