Vi racconto una storia. Una storia di emigrazione che ci riguarda direttamente, perché è estremamente probabile che tra i vostri parenti, più o meno prossimi, ce ne sia almeno qualcuno che è stato costretto, in epoche più o meno remote, a emigrare.
Rispetto all’attuale consistenza numerica della popolazione dei paesi del Reventino, una quantità almeno dieci volte superiore ha infatti lasciato questo territorio per cercare fortuna altrove: in altri luoghi d’Italia, d’Europa, del mondo. Un fenomeno che continua ancora oggi, con l’allontanamento forzato soprattutto dei nostri giovani; ed è quello che chiamiamo “spopolamento” delle Aree interne.
Ma non pensiate che questo “andare via” sia stato fatto a cuor leggero, che non sia costato sacrificio, anche se ha quasi sempre garantito, a chi ha avuto il coraggio di partire, delle condizioni di vita decisamente migliori.
Non è stata una scelta indolore, soprattutto per coloro che non hanno neppure la possibilità di tornare, spesso o almeno di tanto in tanto, per rinnovare quel sentimento speciale, un misto tra nostalgia e rimpianto, che li unisce indissolubilmente e per tutta la vita con i luoghi della loro infanzia e giovinezza: dei luoghi mentali più che reali.
E’ il caso di una donna, nostra conterranea, Maria Cardamone (o se volete, del tutto incidentalmente, zia Maria), partita giovanissima da Soveria Mannelli alla volta di una bella città della Puglia dove ha trovato grandi gioie e – come capita in tutte le vite – anche profondi dolori, ma senza mai dimenticare “il suo Paesino”, tanto da dedicargli una poesia semplice quanto struggente.
Ecco! In questi versi c’è il significato vero della parola “emigrazione”. Quello che non riusciamo a capire quando emigrare tocca agli altri, a quelli che arrivano e ci sembrano a volte degli invasori.
Vi prego, da ultimo, di notare il rispetto – quasi l’adorazione – con cui “Paesino” viene sì scritto usando il diminutivo, probabilmente al cospetto della città decisamente più grande in cui zia Maria si trova ora, ma pur sempre con l’accortezza dell’iniziale maiuscola.
Il mio Paesino
Paesino mio, tanto lontano / in mezzo alle colline e agli altopiani / son tanti anni che ti ho lasciato / ma sappi che non ti ho dimenticato. / Sogno di notte e di giorno a occhi aperti / quel pugno di case e quella chiesa / dove io spesso andavo a pregare / e con Gesù mi confidavo. / Ricordo i boschi, i prati in fiore / il profumo delle ginestre e delle viole / i contadini con gli asinelli / i pastorelli e le pecorelle. / Sento ancora la fragranza / e l’odore del pane, come pure il calore del focolare. / Rivedo davanti all’uscio le vecchierelle / con quelle mani scarne a sferruzzare, / con la rocca e il fuso / la lana e il lino a filare. / E la sera sento ancora quel mesto e dolce suon dell’Ave / quando anche il villanello / piegava la testa e si segnava. / Son cose passate, ma a me tanto care / che non potrò mai dimenticare. / Mi hanno detto che ti hanno ingrandito / e fatto bello, sei proprio una cittadinella / e ne son contenta… / t’hanno fatto bello di fuori / ma sei cambiato dentro. / Le tue doti e virtù / di un tempo non ci sono più. / Anche la mia casa è cambiata / l’hanno ristrutturata. / Le persone a me care / se ne sono andate, / si son quasi tutte addormentate. / Sappi che ti ricordo piccolo, bello e buono / come ti ho lasciato io. / Con tanto amore e nostalgia / Paesino caro, Paesino mio.
Maria Cardamone