di Matteo Cosco –
Dopo le tensioni tra Roma e Bruxelles a causa del deficit italiano, conclusesi con il compromesso del 2,04% nell’ambito dell’approvazione della legge di bilancio, l’Italia potrebbe aver vinto la battaglia ma non la guerra con l’Unione europea. A dimostrarlo sarebbe, secondo quanto riportato da “Repubblica”, il country report della Commissione, critico verso le misure cardine del governo giallo-verde: flat-tax, quota 100 e reddito di cittadinanza; esse sarebbero incapaci di impattare sulla crescita di lungo termine, con conseguenze disastrose su PIL, spesa pubblica e debito del paese. Bisognerà comunque aspettare che il country report venga pubblicato dalla Commissione per poterne conoscere pienamente i dettagli.
L’Unione europea attaccherebbe le proposte del governo di assenza di lungimiranza, concependole come “cerotti” capaci soltanto di porre l’enfasi sugli stimoli di breve periodo; insomma, per dirla alla De Gasperi la critica lanciata a Conte, Salvini e Di Maio sembrerebbe dire: “Cercate di promettere un po’ meno di quello che pensate di realizzare se vinceste le elezioni” .
Questi – costretti a muoversi in spazi ridotti a causa del gravoso debito pubblico – non avranno certo la caratura del grande statista trentino, ma rispecchiano comunque la volontà generale di cambiamento emersa dalle elezioni, momento di massima espressione democratica, che l’Europa dovrebbe imparare a rispettare ed applicare di più al suo interno prima di impartire lezioni economiche agli stati.
Queste misure, va subito detto, presentano numerose criticità: la flat-tax pone importanti questioni etiche di giustizia redistributiva e peggio ancora potrebbe costringere a tagliare la spesa pubblica, ma allo stesso tempo ridurrebbe il cuneo fiscale. Il reddito di cittadinanza se non accompagnato da una preventiva ed adeguata riforma dei centri per l’impiego potrebbe rivelarsi una misura di assistenzialismo e non di reintroduzione al mondo del lavoro, finendo per confondere la lotta alla povertà con quella alla disoccupazione; ma darebbe una risposta concreta al “Grido di dolore” che si leva da parte di coloro i quali vivono sotto la soglia di povertà assoluta. Infine, quota 100, la proposta più criticata da Bruxelles, non assicura che le imprese sostituiranno i “vecchi” lavoratori con “nuovi” contribuendo al naturale ricambio generazionale, poiché potrebbero approfittarne per ridimensionare l’organico se il ciclo economico tende alla recessione, ma lascia l’importante possibilità di scegliere ai lavoratori quando andare in pensione.
Le proposte in questione sono state i “Cavalli di troia elettorali” che hanno portato le due forze politiche che le hanno sostenute al governo, intercettando una voglia diffusa di cambiamento; l’Europa che a suo favore annovera motivazioni economiche farebbe bene a ricordare che l’economia non è una scienza esatta e , cosa ancora più importante, che essa non può essere sovraordinata rispetto alla politica, attività capace di influire sull’organizzazione di una comunità aggregando il consenso, non attraverso le “cattive pagelle” e le regole sulla governance-finanziaria che come tali, identificano standard di riferimento asettici incapaci di adattarsi alla congiuntura economica.
Le criticità di queste riforme non devono quindi disincentivare il governo dal fornire un modello alternativo a quello liberale, propagandato dalla retorica europea che ha drasticamente ridoto i diritti sociali; ancor di più con un debito pubblico elevato come quello italiano, occorre investire per ripartire e non attendere nel “Deserto dei tartari” la completa scissione tra popolo e classe politica; dobbiamo vivere in un’economia, non in una società di mercato.