C’è un progetto preciso e articolato dietro alla presenza, nei giorni scorsi, del figlio di Giorgio Perlasca a Soveria Mannelli, tra l’altro a poco tempo di distanza dalla venuta di un altro personaggio strettamente legato alla shoa come Lello Dell’Ariccia.
Si tratta del “Progetto Memoria” dell’Istituto Comprensivo Rodari di Soveria Mannelli e Carlopoli, portato avanti ormai da molti anni dal professore Corrado Plastino, in forme diverse che vanno dalle conferenze, con testimonianze più o meno dirette di fatti storici realmente accaduti, alle rappresentazioni teatrali che li drammatizzano.
L’incontro con Franco Perlasca è iniziato con la proiezione di un documentario, prodotto dalla Fondazione voluta dallo stesso Franco per onorare la memoria del padre, in cui un giovane Piero Angela illustra la vita di Giorgio fornendo, con le sue parole, un filo conduttore alle immagini di repertorio che passano sullo schermo, ma nel quale compare lo stesso Giorgio che, con signorile ritegno, racconta in prima persona tratti della sua incredibile storia.
“Mio padre” – ha detto il figlio Franco – “era una persona qualunque che non aveva alcun potere. Faceva il commerciante di carni per l’esercito italiano e, verso la fine della seconda guerra mondiale, si trovava a Budapest per motivi di lavoro. Ma quando si accorse di quello che stava accadendo attorno a lui non si voltò dall’altra parte.”
Ciò che stava per accadere, era la deportazione, finalizzata all’annientamento, di oltre cinquemila ebrei ungheresi da parte del governo filo-nazista. Perlasca si mise in testa che poteva fare qualcosa di importante per loro e si inventò un ruolo di ambasciatore spagnolo, approfittando della momentanea assenza del titolare, per accogliere queste persone in alcune abitazioni che rientravano nella giurisdizione dell’ambasciata, riuscendo a salvarle tutte.
Tornato in Italia, anche quando si trovò in ristrettezze economiche, non cercò mai di approfittare di questa storia per suo tornaconto, anzi evitò di raccontarla perfino ai suoi più stretti familiari, alla moglie e al figlio, quasi come si trattasse di una cosa normale, una possibilità che il destino gli aveva messo tra le mani e che lui aveva solo sfruttato per il meglio.
“Poi è arrivato il giorno che mi ha cambiato la vita,” – continua il racconto del figlio Franco – “quando un sabato pomeriggio arrivarono a casa di mio padre due persone, la signora Lang e suo marito, che erano state incaricate di incontrarlo per conto di un gruppo di donne scampate alla shoa per suo merito e che avevano cominciato, dopo molti anni, a cercarlo. E la signora raccontò degli episodi che mi fecero presto capire che proprio lui aveva salvato migliaia di persone.”
Riconosciuto finalmente il suo gesto, il Tribunale del bene di Israele conferisce a Giorgio Perlasca l’altissima onorificenza di “Giusto tra le nazioni”, che richiede di aver salvato la vita di almeno un ebreo durante la shoa, ma anche che la vicenda non sia raccontata la prima volta da chi l’ha compiuta bensì da testimoni.
All’inizio, Franco si tiene un po’ a distanza dalla storia del padre, che diviene finalmente pubblica; ma poi una serie di eventi gli fanno cambiare atteggiamento: l’uscita nel 1991 del libro di Enrico Deaglio “La banalità del bene”, la morte del padre nell’anno successivo, la pubblicazione dei suoi diari (scritti solo per giustificarsi di aver “usurpato” il ruolo di ambasciatore), l’incontro con il regista e scrittore Giorgio Pressburger, anch’egli tra i salvati dal padre, sono tutti segnali che gli fanno capire quanto la storia di Giorgio Perlasca sia “talmente importante da non poter essere dimenticata, perché ci dice che ognuno di noi può fare qualcosa per contrapporsi al male.”
Poi, nel 2002 la storia diventa ancora più di dominio pubblico grazie al film “estremamente veridico” prodotto e messo in onda dalla Rai sulla figura di Perlasca. A questo proposito, Franco ricorda un simpatico retroscena: “Mia madre, incontrando il protagonista Luca Zingaretti durante un’anteprima del film gli fece i complimenti per come aveva interpretato il ruolo di Giorgio, aggiungendo però che suo marito era molto più bello di lui.”
“Mio padre,” – prosegue Franco – “fu sempre la stessa persona, semplice, corretto, gentile ed educato, non si montò mai la testa. Quando qualcuno gli chiedeva perché lo aveva fatto, lui soleva rispondere: e lei cosa avrebbe fatto?”
Rivolto ai giovani studenti, Franco Perlasca ha concluso ricordando ciò che suo padre amava ripetere: “Vorrei che i ragazzi conoscano la mia storia per opporsi con tutte le loro forze nel caso dovessero ripetersi simili orrori.” E infine di come fosse legato, tra i tanti riconoscimenti ricevuti, a una piccola targa donatagli proprio dai ragazzi di una scuola media e che recita così: “A Giorgio Perlasca, un uomo a cui vorremmo somigliare.”
di Raffaele Cardamone