di Raffaele Arcuri –
La storia a volte si diverte disegnando percorsi che noi non immagineremmo mai e che legano, con un sottile filo, mondi apparentemente diversi e lontani, personaggi più o meno noti, viaggi romantici e parole.
Pomeriggio piovoso a Catanzaro!
Vago da solo lungo corso Mazzini: è l’una e mezza e il cuore della città capoluogo è semideserto. Procedo a zig zag sui marciapiedi sbirciando distrattamente nelle vetrine dei negozi chiusi.
Il mio sguardo è attratto da una targa di travertino a lato del portone di un vecchio palazzo ottocentesco. La costruzione è anonima ma le parole incise su quella pietra rivelano un mondo.
Garibaldi ha dormito ovunque, e fin qui non ci piove! Ma scoprire che in questo palazzo non ha riposato il buon vecchio Giuseppe è una piacevole rivelazione.
Sono davanti al portone del vecchio Albergo Centrale, dove a fine ottocento dimorò George Gissing, scrittore inglese che all’epoca intraprese un avventuroso viaggio in Italia meridionale che lo portò anche a Catanzaro.
Gissing era un cultore della classicità ed incominciò il suo viaggio seguendo le tracce dell’archeologo Francois Lenormant che aveva visitato la Calabria 30 anni prima.
Fin qui nulla di nuovo: nei secoli passati molti giovani europei delle classi agiate intrapresero viaggi in tutta Italia, alla scoperta di storia ed arte.
Gissing arrivò a Catanzaro alla fine del 1897, proveniva da Crotone dove aveva avuto un attacco di malaria.
Le impressioni di questo soggiorno sono raccolte in uno dei suoi libri, ”Sulla riva dello Jonio”, in cui parla anche del curioso proprietario dell’Albergo Centrale, tale Coriolano Paparazzo.
Roma, 60 anni dopo. Federico Fellini ed Ennio Flaiano lavorano alla sceneggiatura di uno dei film più significativi della storia del cinema italiano: “La dolce vita”.
Fellini sta leggendo il libro di Gissing e sembra che prenda ispirazione proprio dal proprietario dell’albergo per dare il nome “Paparazzo” al personaggio del fotografo.
Flaiano, nel suo libro “La solitudine del satiro”, racconta quell’episodio con queste parole:
“Ora dovremmo mettere a questo fotografo un nome esemplare perché il nome giusto aiuta molto e indica che il personaggio “vivrà”. Queste affinità semantiche tra i personaggi e i loro nomi facevano la disperazione di Flaubert, che ci mise due anni a trovare il nome di Madame Bovary, Emma. Per questo fotografo non sappiamo che inventare: finché, aprendo a caso quell’aureo libretto di George Gissing che si intitola “Sulle rive dello Jonio” troviamo un nome prestigioso: “Paparazzo”. Il fotografo si chiamerà Paparazzo. Non saprà mai di portare l’onorato nome di un albergatore delle Calabrie, del quale Gissing parla con riconoscenza e con ammirazione. Ma i nomi hanno un loro destino”.
Ci sono anche altre ipotesi sulla scelta di quel nome ma, come scrive Flaiano, i nomi hanno il loro destino: il termine “Paparazzo” verrà associato alla figura del fotografo scaltro, del fotoreporter invadente.
Nulla di eccezionale, solo una piccola storia nata da un libro, da un viaggio e da una passeggiata su corso Mazzini, a Catanzaro in un pomeriggio piovoso di febbraio.
Nulla di serio, solo un racconto, ma è bello pensare che alcuni nomi siano nati qui.