di Giovanni Petronio –
Quando si parla della sciagura della Fiumarella ci si riferisce al più grave e dimenticato disastro ferroviario della storia d’Italia, avvenuto la mattina del 23 dicembre 1961, lungo la linea Cosenza-Catanzaro dell’allora Ferrovie Calabro-Lucane, che colpì al cuore l’entroterra del capoluogo di regione, soprattutto il comune di Decollatura e anche altre comunità come Carlopoli, Cicala, Gimigliano, Panettieri, San Pietro Apostolo ed altri.
Il convoglio era composta da un’automotrice e da un rimorchio, a bordo dei quali trovarono posto circa 200 persone, di cui una gran parte in piedi.
Secondo la tesi più accreditata furono l’alta velocità e il sovraffollamento dei vagoni a cagionare la rottura del gancio di trazione che causò il distacco dalla motrice e fece precipitare il rimorchio da un viadotto alto circa 50 metri, scaraventandolo nel greto del torrente Fiumarella.
Il bilancio fu apocalittico: 71 morti, 31 dei quali, solo di Decollatura! Quella era una mattina attesa e allo stesso tempo speciale, perché i molti studenti a bordo avrebbero avuto le tanto sospirate vacanze, i lavoratori le ferie, i padri di famiglia avrebbero comprato, con i miseri risparmi, qualcheregalo da mettere sotto l’albero per i figli, oppure qualche alimento particolare da portare sulla scarna tavola la sera della vigilia di Natale.
La sciagura della Fiumarella è una vicenda che il pensiero non può, e non deve, accettare, per molte ragioni, per esempio:
I) Quando si è giovani è impensabile, e inaccettabile allo stesso tempo, che una sorte (?) beffarda e stolta possa prendere la vita di innocenti. Erano ragazzi che si recavano in città per andare a studiare negli istituti superiori, cioè per migliorare la loro posizione all’interno della classe sociale e sperare di conseguenza in un futuro migliore. Per la prima volta nella storia del paese i ragazzi, in massa, credevano fortemente che solo lo studio potesse cambiare la loro condizione sociale.
“Per i genitori, sopravvivere ai propri figli è qualcosa di particolarmente straziante (…) La perdita di un figlio o di una figlia è come se fermasse il tempo: si apre una voragine che inghiotte il passato e anche il futuro. La morte, che si porta via il figlio piccolo o giovane, è uno schiaffo alle promesse, ai doni e sacrifici d’amore gioiosamente consegnati alla vita che abbiamo fatto nascere”[1]. Un medico quella mattina disse: “esercito questa professione da 25 anni ed è triste vedere un ragazzo che se ne va… Per l’uomo maturo è un’altra cosa. C’è la rassegnazione dell’imponderabile che vuole la vita umana sconfitta dal tempo. Ma davanti ad un giovane anche un medico incallito diventa un’animella. E davanti a me ne ho visti morire diversi oggi”[2].
II) Fu una vera e propria guerra, soprattutto per Decollatura, una sorta di terzo conflitto mondiale, con la differenza che in una lotta armata fratricida, in qualche modo, il morto si sa che potrebbe esserci, lo si aspetta, non lo si vorrebbe, ma, è “normale” che ci sia! Di contro, su di un treno è impensabile che possa accadere quello che invece accadde! Su di un treno, che, da sempre, declina un’idea di progresso e di speranza (e per il secolare abbandono del Sud Italia quella ferrovia, rappresentava e rappresenta ancora oggi un pilastro fondamentale di sviluppo), non si va alla guerra, quella mattina però si morì come si muore su di un campo di battaglia, nello stesso e atroce modo.
La Gazzetta del Sud scriveva: “I morti di Catanzaro sono caduti in una guerra che, con le poche, fugacissime vittorie, non registra che sconfitte. La responsabilità è della sorte. Non è dubbio che la sorte centri. Ma se qualcuno avesse udito, se qualcuno avesse guardato, se qualcuno si fosse occupato della ferrovia della morte, ora avremmo potuto rivolger il nostro augurio natalizio, senza il peso che ci opprime è il dolore che spegne ogni gioia”[3].
III) Inoltre, in guerra non perdemmo una generazione quasi per intero, perché, è vero che ci fu chi morì, ma, è pure vero che ci fu, anche, chi si salvò e riuscì a tornare a casa. Con la Fiumarella invece una generazione per intero fu azzerata quasi completamente.
IV) Fu annichilita proprio quella che avrebbe costituito la classe dirigente del futuro. Il triste episodio provocò un vuoto immenso, prima di tutto affettivo, familiare e poi sociale e culturale.
Bastò un attimo e nelle strade scomparve la spensieratezza e la gioia, per fare posto a un dolore solitario che divenne un tratto strutturale di tutta la comunità, radicandosi nel tempo.
La vicenda portò nel paese un eterno inverno e un dolore sempre vivo, come se l’oscurità riempì le giornate di Decollatura. La morte di quei ragazzi lasciò tutti increduli e impotenti; costituì l’interruzione di un progetto di vita, del futuro stesso.
Un’interruzione della quotidianità anche per i genitori, per i fratelli, per gli amici, per l’intera comunità; ognuno direttamente o indirettamente venne toccato negli affetti.
Con la Fiumarella come ho già avuto modo di scrivere, è morto un modo di pensare, un modo di essere, un modo di vivere.
A Decollatura, ancora dopo 55 anni, la vicenda si “respira” nei luoghi in cui i nostri ragazzi vissero, in cui passarono le giornate, in cui studiarono, in cui magari si innamorarono… Il dolore è presente negli occhi dei familiari, nel loro quotidiano, nel loro cuore. Per questi motivi qui, chi vi scrive da tempo è impegnato a ricucire le file della memoria e sentendo molto cara la tematica posso anticipare che in primavera presenterò un lavoro sulla tragica vicenda, ritenendolo un dovere etico e morale per il mio amato paese!
Dedico queste riflessioni ai mai dimenticati ragazzi del 23 dicembre 1961, a loro che, in questo tempo, sono divenuti per me, dei compagni di viaggio.
[1] Parole pronunciate da Papa Francesco, in un’udienza generale del giugno del 2015.
[2] Su diversi giornali del 24 dicembre 1961 è presente la suddetta dichiarazione.
[3] Tratto dalla Gazzetta del Sud del 27 dicembre 1961.